Dovevano trovare a tutti i costi il capro espiatorio. Quale migliore occasione, dunque, dello scandalo di pedofilia che ha travolto la Chiesa tedesca? La Germania non è ovviamente il primo paese travolto dallo tsunami degli abusi sessuali, tuttavia, in questo caso, il risalto è stato maggiore per due motivi: le diocesi tedesche sono particolarmente ricche (con tutte le conseguenze del caso nei contenziosi legali) ma, soprattutto, nell’inchiesta è coinvolto il papa emerito Benedetto XVI.
I casi di abusi sessuali da parte del clero tedesco venuti alla luce a seguito del rapporto indipendente commissionato dall’arcidiocesi di Monaco coprono un periodo di oltre settant’anni (1945-2019) e hanno accertato almeno 497 reati, commessi da 235 abusatori tra sacerdoti, diaconi e responsabili pastorali. L’accusa contro Ratzinger riguarda cinque casi, due dei quali risalenti a quando l’attuale papa emerito era arcivescovo di Monaco (1977-1981) e altri tre commessi immediatamente prima.
Benedetto XVI si è difeso con una memoria di 87 pagine, accusando i periti di non essersi attenuti alla “neutralità” e all’“obiettività” e di essere quindi scaduti nella “valutazione soggettiva, se non addirittura della propaganda e pura speculazione”. Il segretario del papa emerito, monsignor Georg Gainswen, ha puntualizzato che Ratzinger esaminerà in dettaglio il rapporto (lungo più di mille pagine) nei prossimi giorni e, al tempo stesso, ha espresso, a nome di Benedetto XVI “il turbamento e la vergogna per gli abusi sui minori commessi dai chierici” e ha manifestato “la sua personale vicinanza e la sua preghiera per tutte le vittime, alcune delle quali ha incontrato in occasione dei suoi viaggi apostolici”.
Il dossier bavarese segue di quasi un anno l’analoga indagine che ha coinvolto l’arcidiocesi di Colonia, ponendo nel mirino il cardinale Rainer Maria Woelki, contro il quale, però, non è stata provata alcuna accusa. L’altro prelato illustre coinvolto nello scandalo della Chiesa tedesca è l’attuale cardinale arcivescovo di Monaco-Frisinga, Reinhard Marx, che l’anno scorso consegnò le proprie dimissioni a papa Francesco, il quale, però, le rifiutò.
Il terremoto che ha scosso violentemente la più ricca Chiesa d’Europa (in Germania, in luogo dell’italico 8 per mille, vige una ben più remunerativa imposta a carico di tutti gli aderenti dichiarati alla Chiesa Cattolica) è, per certi versi, la cartina di tornasole di contrasti ideologici molto forti, a partire dal celibato ecclesiale, per arrivare all’ammissione delle donne al sacerdozio e alla benedizione delle coppie omosessuali. All’ala conservatrice di Woelki, si contrappone quella modernista di Marx, che, negli ultimi anni aveva parecchio “tirato per la tonaca” il papa regnante. In quest’ottica, Benedetto XVI ha il torto di aver ribadito la fermezza della dottrina e l’ortodossia, a partire dagli anni del post-Concilio, di cui pure, lui stesso era stato un convinto sostenitore.
Lo scandalo degli abusi sessuali del clero – fenomeno tristemente planetario – in Germania si è connotato per una natura ancor più strumentale che in altri paesi, dove pure le accuse sono state montate ad arte: si pensi a quanto è avvenuto in Francia con le dimissioni del cardinale Philippe Barbarin da arcivescovo di Bordeaux o in Australia, con il cardinale George Pell, prosciolto definitivamente dall’accusa violenze sessuali contro due chierichetti, dopo aver scontato quasi due anni di carcere.
Joseph Ratzinger ha obiettivamente il merito di aver posto le basi per un primo serio mea culpa della Chiesa riguardo agli abusi sessuali. È il Papa che per primo ha parlato apertamente degli scandali ma, soprattutto, ha preso provvedimenti concreti, raddoppiando la prescrizione per i reati di pedofilia, riducendo allo stato laicale numerosi sacerdoti riconosciuti come colpevoli. Un’opera di pulizia nel segno della quale il pontificato di papa Francesco si è posto in piena continuità: sotto Bergoglio, nel 2019, sono stati emanati i motu proprio Sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili, che impone l’obbligo di denuncia per chi viene a conoscenza di abusi, e Vox estis lex mundi, che specifica le responsabilità dei vertici ecclesiastici nel procedimenti e implementa la collaborazione con l’autorità giudiziarie civili.
L’impegno di Benedetto XVI nel mettersi faccia a faccia con quella che lui stesso, poco prima di divenire papa – definì la “sporcizia nella Chiesa” – è quindi difficilmente contestabile. Gli ambienti ecclesiali e laici che lo accusano non brillano certo per trasparenza e impeccabilità dei costumi, pertanto, le accuse nei suoi confronti appaiono assai poco credibili. In particolare, lo scandalo sollevato dalla rivista Die Ziet, rinfocolato dal più recente dossier riguarda fatti noti all’opinione pubblica da almeno una dozzina d’anni. Il tempo del prossimo conclave si fa sempre più vicino e, a riguardo, i nemici esterni ed interni della Chiesa tramano per seminare ulteriore discordia tra le correnti vicine al papa emerito e chi si sente più prossimo allo stile del papa regnante.
In un tempo di divisioni profonde ed assurde, come quelle attuali, come fedeli non siamo chiamati a schierarci per gli uomini o contro gli uomini ma soltanto a metterci dalla parte di Dio. Più che indagare con le nostre forze su dove stia la verità, dobbiamo chiedere a Dio di vivere secondo Verità e di guidarci nella direzione della Verità stessa. Tutto il resto viene dal maligno.