Papa Francesco e la sfida di un’Africa libera
L’Africa, continente “giovane”. Più volte, durante la settimana trascorsa nell’Africa sudorientale, il Pontefice ha elogiato lo spirito di gioia e di speranza che i giovani africani sanno esprimere. “Vedervi cantare, sorridere, ballare, in mezzo a tutte le difficoltà che attraversate […] è il miglior segno del fatto che voi giovani siete la gioia di questa terra”, ha detto durante l’incontro interreligioso coi giovani mozambicani. La preoccupazione del Papa è che questo entusiasmo e questa genuinità possano stemperarsi nell’impatto con la realizzazione dei propri sogni, che rischiano di dissolversi nel mare della corruzione, dell’avidità e dello sfruttamento, che purtroppo caratterizzano l’Africa, specie nel suo rapporto con l’Occidente e con le ex potenze coloniali.
Durante la conferenza stampa sul volo di ritorno da Antananarivo, Francesco si è compiaciuto della crescita demografica nell’intero continente, contrapposta all’“inverno demografico gravissimo” dell’Europa. Mentre nel vecchio continente, il “benessere” e lo stile di vita edonista spingono la popolazione a non fare figli, in Africa – come anche in molti paesi asiatici o dell’America Latina – Bergoglio ha spesso visto fedeli che, con orgoglio, gli mostravano i loro bambini, come per dire: “Questo è il mio tesoro, questa è la mia vittoria”. Per i popoli più poveri, un bambino è un “tesoro”, ha osservato. Se l’Europa, così poco prolifica e così tanto annoiata, recuperasse un pizzico della semplicità e dell’allegria dei popoli africani, anche nei nostri paesi, i giovani ritroverebbero la voglia di mettere su famiglia e il futuro, anche dal punto di vista economico, sarebbe più roseo.
Sviluppo e progresso frenati dalle politiche neocoloniali. Ulteriore punto sottolineato dal Santo Padre è la grande chance per le popolazioni africane di conquistare una propria autonomia non solo politica ma anche economica. In più occasioni, durante l’ultima visita pastorale, ha denunciato lo sfruttamento indiscriminato da parte delle multinazionali che mettono a repentaglio l’ecosistema e sconvolgono l’equilibrio delle biodiversità, attraverso il bracconaggio, gli incendi o il taglio indiscriminato delle foreste.
Inoltre, se da un lato vi sono organizzazioni internazionali che portano lo sviluppo, dall’altro c’è il rischio che l’apertura al mondo di paesi come il Madagascar si risolva in “una presunta ‘cultura universale’ che disprezza, seppellisce e sopprime il patrimonio culturale di ogni popolo”. Il Pontefice deplora quindi il processo di “omogeneizzazione culturale” che non rispetta gli “stili di vita originari” e che conduce allo snaturamento antropologico e alla decadenza dei costumi. Il riferimento è a quelle che, in occasione di altri viaggi, aveva definito “colonizzazioni ideologiche”: si offre lo sviluppo in cambio di contraccezione, aborto libero e gender a scuola, corrompendo lo spirito di questi popoli e annichilendo la loro voglia di riscatto. Se invece gli “stili di vita originari” saranno rispettati e lo sviluppo non sarà condizionato dagli aiuti internazionali, “sarà il popolo stesso che progressivamente si farà carico di sé, diventando l’artefice del proprio destino”.
È quanto sarebbe auspicabile anche per i paesi subsahariani che hanno adottato il franco fca, unità monetaria battuta dalla Francia che, in questo modo, continua subdolamente a mantenere il proprio controllo post-coloniale su una larga parte dell’Africa. L’emancipazione economica e monetaria dei paesi africani metterebbe anche fine al triste fenomeno dell’emigrazione di massa, in particolare verso l’Europa, con tutto il tragico contorno di sfruttamento della manodopera e di tratta di esseri umani che essa comporta.