Papa Francesco: Giuseppe, padre tenero

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Spesse volte ancora nella nostra coscienza, prevale l’immagine della figura paterna, come quella di uno che veglia sull’ordine, sulla disciplina. Varie sono le nostre esperienze personali del rapporto col padre, varia quindi il nostro immaginario. Nell’udienza odierna, il Santo Padre ci fa notare che un uomo giusto, come San Giuseppe in questo caso, non può non essere anche tenero. 

Una riflessione cristiana sul padre, si basa sulla Scrittura e nello specifico può partire già dall’Antico Testamento. Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4) (…) E lo stesso rapporto pensiamo che sia stato quello di San Giuseppe con Gesù.

Questa è anche principalmente l’immagine di Dio, trasmessaci da Gesù, nel Nuovo Testamento. Egli ha usato sempre la parola “padre” per parlare di Dio e del suo amore. Molte parabole hanno come protagonista la figura di un padre. Tra le più famose c’è sicuramente quella del Padre misericordioso, raccontata dall’evangelista Luca (cfr Lc 15,11-32). Proprio in questa parabola si sottolinea, oltre all’esperienza del peccato e del perdono, anche il modo in cui il perdono giunge alla persona che ha sbagliato. 

Proprio qui entra in scena la tenerezza. Essa è qualcosa di più grande della logica del mondo. È un modo inaspettato di fare giustizia. Ecco perché non dobbiamo mai dimenticare che Dio non è spaventato dai nostri peccati: mettiamoci questo bene nella testa. Dio non si spaventa dei nostri peccati, è più grande dei nostri peccati: è padre, è amore, è tenero. 

Ed è bello pensare – ci fa notare Papa Francesco – che il primo a trasmettere a Gesù questa realtà sia stato proprio Giuseppe. Infatti le cose di Dio ci giungono sempre attraverso la mediazione di esperienze umaneA volte, fare i conti con le persone, non è facile, quando siamo consapevoli delle nostre debolezze. Tutti noi abbiamo conti da risolvere; ma fare i conti con Dio è una cosa bellissima, perché noi incominciamo a parlare e Lui ci abbraccia. La tenerezza!

Tutte queste dinamiche, ci portano quasi all’assurdità, quando ci accorgiamo che per Dio siamo importanti non solo con i nostri lati forti, ma anche con le nostre fragilità. Dio non fa affidamento solo sui nostri talenti, ma anche sulla nostra debolezza redenta. Questo, ad esempio, fa dire a San Paolo che c’è un progetto anche sulla sua fragilità. Così infatti scrive alla comunità di Corinto: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi […]. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12,7-9). 

Occorre fare spesso memoria di quello che Dio veramente è. Il Papa oggi ci esorta a non dimenticare, che «la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona» (Patris corde, 2). Dio perdona sempre: mettetevelo, questo, nella testa e nel cuore. Dio perdona sempre. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Ma lui perdona sempre, anche le cose più brutte.

Infine c’è la nostra capacità di risposta a questo amore tenero e misericordioso. Il Papa dunque ci esorta a domandarci se permettiamo al Signore di amarci con la sua tenerezza, trasformando ognuno di noi in uomini e donne capaci di amare così. Senza questa “rivoluzione della tenerezza” – ci vuole, una rivoluzione della tenerezza! – rischiamo di rimanere imprigionati in una giustizia che non permette di rialzarsi facilmente e che confonde la redenzione con la punizione. Francesco conclude invitandoci a non dimenticare in questo contesto i nostri fratelli e sorelle carcerati, di modo che pensiamo alla tenerezza di Dio per loro e preghiamo per loro, perché trovino in quella finestra di speranza una via di uscita verso una vita migliore.