Papa Francesco: missionario, uomo che va

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Nell’udienza di oggi il Papa continua a proporci dei modelli dello zelo apostolico. Il testimone questa volta è San Francesco Saverio, uno dei patroni delle missioni. 

Cosa, secondo Papa Francesco, fa di un missionario, un buon testimone? La capacità di andare. (…) Un missionario è grande quando va. E ci sono tanti, tanti, sacerdoti, laici, suore, che vanno nelle missioni, anche dall’Italia e tanti di voi. Io vedo, per esempio, quando mi presentano la storia di un sacerdote come candidato all’episcopato: ha passato dieci nella missione in tale luogo… questo è grande: uscire dalla patria per predicare il Vangelo. È lo zelo apostolico. E questo noi dobbiamo coltivare tanto. E guardando la figura di questi uomini, di queste donne, impariamo.

La storia del santo spagnolo, che lo porta all’incontro con Ignazio di Loyola e, in seguito, al desiderio di diventare gesuita e di partire in missione, diventa ispirazione per tanti. Parte così il primo di una numerosa schiera di missionari appassionati dei tempi moderni, pronti a sopportare fatiche e pericoli immensi, a raggiungere terre e incontrare popoli di culture e lingue del tutto sconosciute, spinti solo dal fortissimo desiderio di far conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Il Pontefice ci ricorda come i missionari sono persone per le quali non esiste un limite.  Un coraggio avevano questi santi missionari! Anche quelli di oggi, anche se non vanno in nave per tre mesi, vanno in aereo per 24 ore ma poi lì è lo stesso. Si deve mettere lì, e fare tanti chilometri, addentrarsi nelle foreste. E Saverio, nelle Molucche, mette in versi il catechismo nella lingua locale e insegna a cantare il catechismo, perché con il canto lo si apprende meglio. Quali siano i suoi sentimenti lo capiamo dalle sue lettere. Scrive così: «I pericoli e le sofferenze, accolti volontariamente e unicamente per amore e servizio di Dio nostro Signore, sono tesori ricchi di grandi consolazioni spirituali. Qui in pochi anni si potrebbero perdere gli occhi per le troppe lacrime di gioia!» (20 gennaio 1548). Piangeva di gioia vedendo l’opera del Signore.

Il nostro santo, dopo essersi già spostato tre volte, infine comprende, che il suo paese di destinazione era la Cina. Con la sua cultura, la sua storia, la sua grandezza, esercitava di fatto un predominio su quella parte del mondo. Anche oggi la Cina è proprio un polo culturale, con una storia grande, una storia bellissima (…)  Il 3 dicembre 1552, muore in totale abbandono, solo un cinese è accanto a lui a vegliarlo. Così termina il viaggio terreno di Francesco Saverio. Era invecchiato, quanti anni aveva? Ottanta già? No…Aveva soltanto quarantasei anni, aveva speso la vita nella missione, con lo zelo. Parte dalla Spagna colta e arriva al Paese più colto del mondo in quel momento, la Cina, e muore davanti alla grande Cina, accompagnato da un cinese. Tutto un simbolo!

Il motore della sua missione? Già lo conosciamo. E’ sempre la preghiera. Non era un missionario “aristocratico”: andava sempre con i più bisognosi, i bambini che erano i più bisognosi di istruzione, di catechesi, i poveri, i malati: andava proprio alle frontiere dell’assistenza dove è cresciuto in grandezza. L’amore di Cristo è stato la forza che lo ha spinto sino ai confini più lontani, con fatiche e pericoli continui, superando insuccessi, delusioni e scoraggiamenti, anzi, dandogli consolazione e gioia nel seguirlo e servirlo fino alla fine.

Ricordando i tanti missionari anche dei tempi odierni, Papa Francesco conclude la catechesi invocando la gioia di evangelizzare, la gioia di portare avanti questo messaggio tanto bello che fa felici noi, e tutti.