Papa Francesco: il primo pedagogo

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Quella sulla validità e necessità della legge, è una lotta interiore che dura tutta la vita dell’uomo. Non è vero che solo da bambini rifiutiamo le regole che ci vengono proposte o addirittura imposte. Questo conflitto è insito dentro di noi e nell’udienza di oggi, il Santo Padre, prendendo spunto ancora dalla Lettera ai Galati, ce ne spiega il motivo.

San Paolo parla ai Galati e a noi della Legge come di un pedagogo, che educa i “figli della promessa, che siamo”. È una bella immagine, osserva Papa Francesco, quella del pedagogo di cui abbiamo parlato nell’udienza scorsa, un’immagine che merita di essere compresa nel suo giusto significato.

L’autore della Lettera ci propone una scansione del tempo, in due momenti: prima di essere diventati credenti in Cristo Gesù e dopo avere ricevuto la fede. Al centro si pone l’evento della morte e risurrezione di Gesù, che Paolo ha predicato per suscitare la fede nel Figlio di Dio. Questa “divisione” riguarda sia il personale, che la storia umana. La prima tappa, Paolo la descrive come uno “stare sotto” la Legge, l’idea di un asservimento negativo, tipico degli schiavi: “essere sotto”. L’Apostolo lo esplicita dicendo che quando si è “sotto la Legge” si è come dei “sorvegliati” e dei “rinchiusi”, una specie di custodia preventiva. Questo tempo, dice San Paolo, è durato a lungo – da Mosè, alla venuta di Gesù -, e si perpetua finché si vive nel peccato.

Se la trasgressione della Legge viene definita in termini del peccato, la Legge porta a definire la trasgressione e a rendere le persone consapevoli del proprio peccato: “Hai fatto questo, pertanto la Legge – i Dieci Comandamenti – dice questo: tu sei in peccato”. Anzi, come insegna l’esperienza comune, il precetto finisce per stimolare la trasgressione, chiarisce Francesco.

E aggiunge ulteriori delucidazioni, sulla funzione di un pedagogo, nell’antichità, allo scopo di contestualizzare il discorso. Ma la Legge è il pedagogo, che ti porta, dove? A Gesù. Nel sistema scolastico dell’antichità il pedagogo non aveva la funzione che oggi noi gli attribuiamo, vale a dire quella di sostenere l’educazione di un ragazzo o di una ragazza. All’epoca, si trattava invece di uno schiavo che aveva l’incarico di accompagnare dal maestro il figlio del padrone e poi riportarlo a casa. Doveva così proteggerlo dai pericoli, sorvegliarlo perché non assumesse comportamenti scorretti. 

Il pedagogo dunque non era un insegnante, come lo conosciamo noi, ma l’accompagnatore. Da qui si comprende, come ci dice il Papa, la funzione della Legge. La Torah, cioè la Legge, era stata un atto di magnanimità da parte di Dio nei confronti del suo popolo. Dopo l’elezione di Abramo, l’altro atto grande è stata la Legge: fissare la strada per andare avanti. Certamente aveva avuto delle funzioni restrittive, ma nello stesso tempo aveva protetto il popolo, lo aveva educato, disciplinato e sostenuto nella sua debolezza, soprattutto la protezione davanti al paganesimo.

Il Pontefice conclude con alcune provocazioni e domande, che hanno come scopo la comprensione di questo difficile rapporto tra la Legge e la libertà, che ci tormenta quotidianamente. Questo cosa vuol dire? Che finita la Legge noi possiamo dire: “Crediamo in Gesù Cristo e facciamo quello che vogliamo? “No! I Comandamenti ci sono, ma non ci giustificano. E che cosa facciamo con i Comandamenti? Dobbiamo osservarli, ma come aiuto all’incontro con Gesù Cristo. Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo? È una bella domanda.