Fratelli tutti! Così si potrebbe riassumere ancora una volta, con il titolo della recente enciclica, la catechesi odierna del Papa nel corso dell’udienza generale del mercoledì. Seguendo la traccia della Lettera ai Galati, veniamo da lui oggi invitati a considerare come il dono della fratellanza universale sia frutto della consapevolezza della figliolanza divina.
Inizia tutto con il nostro battesimo. Noi cristiani diamo spesso per scontato questa realtà di essere figli di Dio. È bene invece fare sempre memoria grata del momento in cui lo siamo diventati, quello del nostro battesimo, per vivere con più consapevolezza il grande dono ricevuto – ci ricorda il Pontefice, invitando a mettere a fuoco la data ciascuno del proprio battesimo, come il giorno in cui siamo stati salvati.
Vediamo dunque come quello sia momento cruciale per la nostra vita di fede, in quanto permette di essere figli di Dio «in Cristo»: questa è la novità. È questo “in Cristo” che fa la differenza. Non soltanto figli di Dio, come tutti: tutti gli uomini e donne siamo figli di Dio, tutti, qualsiasi sia la religione che abbiamo. No. Ma “in Cristo” è quello che fa la differenza nei cristiani, e questo soltanto avviene nella partecipazione alla redenzione di Cristo e in noi nel sacramento del battesimo, così incomincia. Gesù è diventato nostro fratello, e con la sua morte e risurrezione ci ha riconciliati con il Padre.
Il battesimo infatti, tante volte nominato dall’apostolo Paolo, rendendoci figli, ci permette di chiamare Dio “Abbà”, cioè “papà”. Acquisendo nuova identità, cambia anche la nostra identità, che diventa tale da prevalere rispetto alle differenze che ci sono sul piano etnico-religioso. Cioè, lo spiega così: «non c’è Giudeo né Greco»; e anche su quello sociale: «non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina» (Gal 3,28). Si leggono spesso con troppa fretta queste espressioni, senza cogliere il valore rivoluzionario che possiedono. Per Paolo, scrivere ai Galati che in Cristo “non c’è Giudeo né Greco” equivaleva a un’autentica sovversione in ambito etnico-religioso.
E’ un vero e proprio sconvolgimento della vita sociale, quello che ci presenta l’apostolo delle genti. “Ma come, uguali tutti? Siamo differenti!”. Suona un po’ eretico, no? Anche la seconda uguaglianza, tra “liberi” e “schiavi”, apre prospettive sconvolgenti. Per la società antica era vitale la distinzione tra schiavi e cittadini liberi. Questi godevano per legge di tutti i diritti, mentre agli schiavi non era riconosciuta nemmeno la dignità umana. Questo succede anche oggi: tanta gente nel mondo, tanta, milioni, che non hanno diritto a mangiare, non hanno diritto all’educazione, non hanno diritto al lavoro: sono i nuovi schiavi, sono coloro che sono alle periferie, che sono sfruttati da tutti.
Cose e argomenti che ancora oggi ci risultano tanto presenti e evidenti, queste. Il Santo Padre conclude con la rinnovata esortazione a tutti noi. Fratelli e sorelle, siamo dunque chiamati in modo più positivo a vivere una nuova vita che trova nella figliolanza con Dio la sua espressione fondante. Uguali perché figli di Dio, e figli di Dio perché ci ha redento Gesù Cristo e siamo entrati in questa dignità tramite il battesimo. È decisivo anche per tutti noi oggi riscoprire la bellezza di essere figli di Dio, di essere fratelli e sorelle tra di noi perché inseriti in Cristo che ci ha redenti. Ciò che conta è la fede che opera seguendo il cammino dell’unità indicato dallo Spirito Santo. E la nostra responsabilità è camminare decisamente su questa strada dell’uguaglianza, ma l’uguaglianza che è sostenuta, che è stata fatta dalla redenzione di Gesù.