Non possiamo pretendere che la nostra preghiera sia sempre colma di “scintille”. Essa fa parte della nostra vita e della sua verità ed è per questo che, più autentica è la preghiera, più sarà segnata anche dalle difficoltà. Nell’udienza odierna il Papa ci incoraggia ad identificare e chiamare per nome questi ostacoli, allo scopo di saperli accogliere e superare.
In primo luogo tutti con molta facilità sperimentiamo la distrazione. La preghiera convive spesso con la distrazione. Infatti, la mente umana fatica a soffermarsi a lungo su un solo pensiero. Tutti sperimentiamo questo continuo turbinio di immagini e di illusioni in perenne movimento, che ci accompagna persino durante il sonno. Il ritrovarsi distratti non costituisce una condizione peccaminosa, ma questo problema va attenzionato. Il rimedio è la pratica della virtù della vigilanza. Ne è rappresentazione il richiamo di Gesù ai servi che devono restare desti quando torna il padrone e risuona la sua voce, per coglierla con gioia (cf. Lc 12,35-38)
Esistono poi nella nostra vita di preghiera i tempi dell’aridità. L’aridità ci fa pensare al Venerdì Santo, alla notte e al Sabato Santo, tutta la giornata: Gesù non c’è, è nella tomba; Gesù è morto: siamo soli. E questo è il pensiero-madre dell’aridità. Spesso non sappiamo quali siano le ragioni dell’aridità: può dipendere da noi stessi, ma anche da Dio, che permette certe situazioni della vita esteriore o interiore. Occorre attendere e perseverare, perché Dio che non abbandona, ci aiuterà per far tornare la luce.
Ma ci sono anche i difetti veri e proprio, come quello dell’accidia. Il CCC al numero 2733 ce la definisce come «una forma di depressione dovuta al rilassamento dell’ascesi, a un venire meno della vigilanza, alla mancata custodia del cuore». Come fare dunque in questo succedersi di entusiasmi e avvilimenti? Si deve imparare a camminare sempre. Il vero progresso della vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nell’essere capaci di perseverare in tempi difficili: cammina, cammina, cammina … E se sei stanco, fermati un po’ e torna a camminare. Il Santo Padre ci ricorda l’esempio della perfetta letizia di San Francesco. Costanza e perseveranza soprattutto, specialmente laddove non ci sentiamo ricompensati o consolati.
Tutto ciò va accompagnato dal dialogo aperto e sincero con Dio. Al silenzio possiamo rispondere con le nostre parole, anche quando esse esprimono i nostri sentimenti più dolorosi. Dio vuole che parliamo con lui, che gridiamo a lui, che siamo onesti. Possiamo far sprigionare, come Giobbe, tutti i nostri “perché?”. Quando noi ci arrabbiamo un po’ con Dio e incominciamo a dire dei perché, stiamo attirando il cuore di nostro Padre verso la nostra miseria, verso la nostra difficoltà, verso la nostra vita. Ma sì, abbiate il coraggio di dire a Dio: “Ma perché …?”. In fin dei conti – ci ricorda il Pontefice – Dio conosce il nostro cuore e saprà raccogliere tutto da Padre che è, sapendo che anche questa è la nostra preghiera.