Sebbene la cultura odierna faccia di tutto per distogliere il nostro sguardo dalla fragilità e dall’inevitabile passaggio del tempo e dalla sofferenza, sappiamo bene che sono temi che prima o poi ci toccherà affrontare. Se oggi scartiamo gli anziani cui vita ci parla di questo, verrà il momento in cui noi dovremo incontrare noi stessi, trasformati dal tempo e dai dolori.
In tutto ciò, ci dice nella catechesi odierna il Papa, l’essenziale diventa che nessuno venga lasciato solo, quando si vede venir meno le forze di una volta. E questo può riguardare l’età che avanza, ma anche lo stato di salute. Ne è l’esempio la suocera di Pietro e la sua vicenda.
Gesù non visita da solo quell’anziana donna malata, ci va insieme ai discepoli. E questo ci fa pensare un po’. È proprio la comunità cristiana che deve prendersi cura degli anziani: parenti e amici, ma la comunità. La visita agli anziani va fatta da tanti, assieme e spesso. Mai dovremmo dimenticare queste tre righe del Vangelo. Oggi soprattutto che il numero degli anziani è notevolmente cresciuto, anche in proporzione ai giovani, perché siamo in questo inverno demografico, si fanno meno figli e ci sono tanti anziani e pochi giovani. Dobbiamo sentire la responsabilità di visitare gli anziani che spesso sono soli e presentarli al Signore con la nostra preghiera.
L’unica e la più importante cosa che possiamo fare di fronte a un anziano o un ammalato è… guarirlo. E non c’è bisogno che abbiamo lo stesso dono che Gesù, dono di guarigione. L’interesse e la cura sono mezzi che servono per risanare il vuoto che si può formare nelle persone in queste condizioni. I vecchi hanno tanto da darci: c’è la saggezza della vita. Tanto da insegnarci: per questo noi dobbiamo insegnare anche ai bambini che accudiscano i nonni e vadano dai nonni. Il dialogo giovani-nonni, bambini-nonni è fondamentale per la società, è fondamentale per la Chiesa, è fondamentale per la sanità della vita. Dove non c’è dialogo tra giovani e vecchi manca qualcosa e cresce una generazione senza passato, cioè senza radici.
Il primo insegnamento ci viene dunque da Gesù. Ma il secondo ce lo dà l’anziana donna, che “si alzò e si mise a servirli”. Anche da anziani si può, anzi, si deve servire la comunità. È bene che gli anziani coltivino ancora la responsabilità di servire, vincendo la tentazione di mettersi da parte.
Gli anziani – ci fa osservare il Santo Padre – che conservano la disposizione per la guarigione, la consolazione, l’intercessione per i loro fratelli e sorelle – siano discepoli, siano centurioni, persone disturbate da spiriti maligni, persone scartate… –, sono forse la testimonianza più alta della purezza di questa gratitudine che accompagna la fede. Se gli anziani, invece di essere scartati e congedati dalla scena degli eventi che segnano la vita della comunità, fossero messi al centro dell’attenzione collettiva, sarebbero incoraggiati ad esercitare il prezioso ministero della gratitudine nei confronti di Dio, che non dimentica nessuno.
In questo senso, la suocera di Pietro, prima che gli Apostoli ci arrivassero, lungo il cammino della sequela di Gesù, mostrò la via anche a loro. E la speciale delicatezza di Gesù, che le “toccò la mano” e si “chinò delicatamente” su di lei, mise in chiaro, fin dall’inizio, la sua speciale sensibilità verso i deboli e i malati, che il Figlio di Dio aveva certamente appreso dalla sua Madre. Per favore, facciamo in modo che i vecchi, che i nonni, le nonne siano vicini ai bambini, ai giovani per trasmettere questa memoria della vita, per trasmettere questa esperienza della vita, questa saggezza della vita. Questa l’esortazione con cui ci lascia oggi Papa Francesco.