Non era partito troppo bene ma, quando ormai i titoli di coda sono vicini, gli sviluppi di questo evento sportivo stanno destando grande amarezza. La vicenda delle tangenti versate dalle autorità qatariote ad alcuni europarlamentari è soltanto uno dei segnali dell’ipocrisia che ha ammantato la ventiduesima edizione dei mondiali di calcio. 600mila euro in contanti è quanto avrebbe riscosso un gruppo di rappresentanti di quell’area politica che, nelle ultime settimane, sta continuando a pontificare sul POS, indicato come strumento di civiltà che ci salverebbe da ogni forma di evasione fiscale.
Il Qatar ha fatto letteralmente carte false pur di potersi aggiudicare l’organizzazione dei mondiali. Suscita ancor più disgusto, però, che le malefatte di un Paese che non rispetta i diritti umani (compresi i diritti dei lavoratori che hanno reso possibile questo grande evento sportivo) siano state assecondate o coperte da personaggi – a partire dai dirigenti FIFA – che da sempre dei diritti umani fanno grande retorica. Per non parlare dei sospetti legami tra Qatar e Fratellanza Musulmana: un sodalizio in cui si inserisce, in una torbida triangolazione, il Partito Democratico italiano, da sempre a braccetto con l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia, le cui posizioni, notoriamente, non coincidono affatto con quelle dei musulmani moderati.
La carrellata di pantomime intorno a questi mondiali qatarioti non finisce certo qui. Soprattutto nella prima fase della manifestazione sportiva, abbiamo dovuto assistere all’ormai istituzionale “genuflessione antirazzista”. Un gesto che, in realtà, evoca lo spettro di feroci gruppi eversivi, ispirati alla cosiddetta “cultura woke”, che, in modo nemmeno troppo velato, minaccia la civiltà cristiana. Una ritualità che, a quanto pare, appassiona molto più i giocatori bianchi e occidentali che non gli africani, come si è visto, ad esempio, un attimo prima del fischio d’inizio di Inghilterra-Senegal.
Potremmo soffermarci anche sulla querelle delle fasce arcobaleno negate ai giocatori dalle autorità qatariote e sulle imbarazzanti parole del presidente della FIFA, Gianni Infantino, il quale, pur proclamandosi simbolicamente “qatariota, africano, arabo, migrante, gay”, non ha fatto nulla, in sei anni di mandato, né per cambiare sede alla kermesse calcistica, né per ammorbidire l’intransigenza del governo mediorientale.
In questa atipica edizione dicembrina dei mondiali, che abbiamo seguito coi termosifoni accesi (o almeno chi di questi tempi può farlo…) e l’albero di Natale già illuminato, i valori sportivi sono forse finiti in secondo piano. Sono andate in finale l’Argentina di Leo Messi e la Francia di Kylian Mbappé, due delle 4-5 squadre più quotate, ciononostante, non sono mancate le sorprese. C’è chi ha avuto risultati al di sotto delle aspettative (Brasile, Inghilterra, Spagna) o estremamente deludenti (Germania, Belgio, Uruguay), in compenso abbiamo visto la netta crescita del calcio asiatico e africano, con la storica affermazione del Marocco tra le prime quattro classificate e la buona prestazione del Giappone che, oltre a battere inaspettatamente Germania e Spagna, ha dato una straordinaria lezione di sportività e fair play.
Si riscontra, poi, la grande conferma della Croazia tra le grandi del calcio a livello planetario. Già nel 2018, in occasione dei mondiali in Russia, avevamo parlato della grande devozione del ct Zlatko Dalic, che va spesso a Medjugorje e porta sempre in tasca con sé il rosario, stringendolo in mano anche durante le partite. Quella di Dalic non è scaramanzia ma vera fede e lo stesso ct sta riuscendo a trasmetterla ai suoi giocatori: come quando domenica 3 dicembre, ha chiesto e ottenuto che la celebrazione di una messa nell’hotel di Doha, per tutta la delegazione croata. In un Paese quasi totalmente musulmano una cosa del genere non era scontata.
Altri due commissari tecnici che non fanno mistero della loro cattolicità sono il portoghese Fernando Santos e il brasiliano Adenor Leonardo Bacchi, in arte Tite. Santos, che ha appena lasciato la guida della sua nazionale dopo otto anni e un titolo europeo nel 2016, a suo tempo si dichiarò “devoto a Nostra Signora di Fatima e al silenzio”. L’ex ct portoghese prega e medita il Vangelo ogni mattina e va a messa quasi quotidianamente. Santos si è riavvicinato alla fede, in coincidenza della Cresima della figlia. Così l’allenatore descrive il suo rapporto con l’Eucarestia: “Ciò che mi colpisce è il tabernacolo, sapere che Egli è lì, che posso parlare con Lui, che ascolta quello che dico… E una cosa positiva è che non mi risponde subito! Risponde sempre, ma non mi interpella immediatamente. Questa scoperta mi ha cambiato radicalmente. La questione dell’amore ha iniziato a germinare lì”.
Da parte sua, Tite è solito sgranare il rosario durante gli allenamenti, come ha mostrato il tweet di un giornalista cattolico, che ha fatto il giro del mondo. Lo scorso 25 novembre, alla vigilia di Brasile-Serbia, non disponendo di una chiesa (in Qatar ve ne sono pochissime), il ct verdeoro è stato visto pregare all’interno di una moschea, offrendo così una grandissima testimonianza ai non cristiani.
Anche tra i giocatori, il dono della fede non è così raro. Durante la finale, gli occhi saranno puntati in particolare su Lionel Messi che, porta Gesù tatuato sul bicipite destro. Poco prima dei mondiali, il trentacinquenne fuoriclasse del Paris Saint-Germain e della nazionale argentina aveva dichiarato che si sarebbe recato in pellegrinaggio dalla Madonna del Rosario a San Nicolás.
Domani, tra i suoi avversari, Messi troverà Olivier Giroud: sul braccio destro, l’attaccante del Milan e della nazionale francese porta tatuate le prime parole in latino del Salmo 22: “Dominus Regit Me Et Nihil Mihi Deerit” (Il Signore mi governa, non mi mancherà nulla). “Chiedo al Signore di darmi forze e di aiutare la mia squadra a vincere e segnare”, ha affermato una volta Giroud, il quale è solito parlare apertamente della sua fede ai compagni di squadra, anche quando musulmani o atei.
Chiunque vincerà la finale di Qatar 2022, quindi, c’è da immaginare che vi sarà almeno un giocatore che ringrazierà Dio: fiori spuntati nel fango di un mondiale di calcio che, per molti versi, non pare dei più memorabili.