A volte l’inferno lo troviamo già sulla terra. Vi sono due tipi di inferni “terreni”: quelli che si subiscono per disgrazia (guerra, fame, malattia, ecc.) e quelli che le persone si scelgono da sé. L’inferno procurato dalla droga, dall’alcool o da qualunque forma di dipendenza, ad esempio, è qualcosa che nessuno può mai imporre, né infliggere. Essere felici o infelici è quasi sempre una scelta ed è una conseguenza della nostra libertà.
Prendiamo i rave abusivi al centro del dibattito in questi giorni. Tutta la discussione è focalizzata su questioni di carattere burocratico (es., quale debba essere il numero massimo di partecipanti per qualificare un raduno come illegale), oltre che su un malinteso concetto di libertà. È scoraggiante riscontrare che c’è chi difende di questi raduni quasi per una questione di principio, senza minimamente entrare nel merito di cosa avviene in quei contesti. È altresì irritante vedere che coloro che difendono i rave sono gli stessi che, per due anni – causa pandemia – hanno appoggiato le limitazioni alla libertà di circolazione, penalizzando in modo particolare i giovani e la loro fisiologica inclinazione all’incontro con l’altro e alla scoperta del mondo.
È stato proprio il progressivo allentamento delle restrizioni pandemiche a scatenare, per reazione, il boom di aggregazioni come i rave ma anche di fenomeni ancor più deteriori come le baby gang nelle metropoli. L’attuale discussione politica in materia guarda molto al dito (risvolti legali dell’occupazione di suolo pubblico o privato, limitazioni alla libertà di riunione, ecc.) e per nulla alla luna. Senza voler sminuire le implicazioni tecnico-giuridiche, si perde di vista l’essenza della questione: vale la pena o no assecondare uno stile di vita del genere?
Un servizio dell’ultima puntata di Fuori dal coro su Rete 4 ha mostrato tutto lo squallore che si manifesta nei capannoni occupati per queste “feste” destinate a durare giorni, finanche settimane: musica a volumi così assordanti da impedire quasi del tutto ogni forma di comunicazione; droga a fiumi, con strisce di cocaina consumate come fossero caramelle; rifiuti e sporcizia ovunque (importa qualcosa alle vestali del sanitariamente corretto?); giovani barcollanti o riversi per terra per i troppi sballi chimici. Una vera bolgia infernale.
Davvero la libertà dei giovani di fare qualsiasi cosa è sempre e comunque sacrosanta? Come al solito, il vero punto non riguarda che tipo di proibizioni imporre, né tantomeno si tratta di fare la morale a questi ragazzi. La preoccupazione che dovrebbe muovere gli adulti è desiderare il meglio per loro. Cos’è che rende veramente felici? Un giovane frequentatore dei rave dovrebbe chiederselo ma dovrebbero farlo anche i suoi genitori: a riguardo, un passaggio del menzionato servizio di Fuori dal Coro conferma che spesso le famiglie accondiscendono a queste abitudini.
Facile allora concludere che la più grande responsabilità va attribuita proprio agli adulti, ormai incapaci di trasmettere ai propri figli la passione per le cose che riempiono davvero la vita. Non è tanto un problema politico, giuridico o di sicurezza quanto una questione antropologica. Adolescenti e giovani così smarriti e nichilisti vengono cresciuti da genitori altrettanto fragili e demotivati, incapaci di indicare loro una direzione. Sono ragazzi educati da insegnanti viziati da una concezione burocratica e meschina della propria professione. E i sacerdoti? Nonostante i tanti richiami di papa Francesco per una “Chiesa in uscita”, la maggior parte di loro continua a rimanere rintanata nelle sacrestie. Generazioni impaurite daranno vita a generazioni ancor più terrorizzate, la cui unica exit strategy sarà lo stordimento e l’inconfessato desiderio di morire.
Ci eravamo illusi che la pandemia ci avrebbe restituito una società più solidale e, soprattutto, una rinnovata alleanza tra le generazioni, all’insegna di un ritrovato spirito di sacrificio. La realtà concreta ci mostra che tutto questo non si è realizzato. Ciò, di per sé, non è un fatto negativo. Tornare coi piedi per terra, uscire dalle allucinazioni collettive e dalle bolle ideologiche è sempre un bene. Per fare questo passo, però, è necessaria molta umiltà.