Romero e gli altri: nuovi santi dai piedi per terra e cuore in Cielo
Il mese mariano di ottobre è tradizionalmente fiorente per le #canonizzazioni. È anche il mese che la Santa Sede è solita riservare alle assemblee del #Sinodo dei Vescovi, tanto è vero che gli ultimi quattro Sinodi – compreso quello in corso – hanno sempre visto, durante il loro svolgimento, l’elevazione agli altari di un numero significativo di nuovi beati o santi.
Il 21 ottobre 2012, durante il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, papa Benedetto XVI canonizzò sette beati, tra i quali spiccavano quattro donne e tre laici. Da ricordare, in quell’occasione, la canonizzazione di Caterina Tekakwitha (1656-1680), la prima santa pellerossa della storia.
Il 19 ottobre 2014, quando il Sinodo straordinario sulla famiglia era a metà percorso, papa Francesco beatificava il suo predecessore, Paolo VI (1897-1978). Un anno dopo, il 18 ottobre 2015, durante l’assemblea sinodale ordinaria sullo stesso tema, quattro nuovi santi venivano elevati agli altari, tra cui Louis Martin (1823-1894) e Marie-Azélie Guérin Martin (1831-1877), genitori di Santa Teresa di Lisieux, a testimonianza della famiglia come fucina di santità e di vocazioni.
Domenica scorsa, 14 ottobre 2018, è stata la volta delle canonizzazioni del già citato Paolo VI, del vescovo martire salvadoregno Oscar Arnulfo Romero (1917-1980), dei sacerdoti Francesco Spinelli (1853-1913) e Vincenzo Romano (1751-1831), delle religiose Nazaria di Santa Teresa di Gesù (1889-1943) e Caterina Kasper (1826-1898) e del laico Nunzio Sulprizio (1817-1836).
Mentre la figura di papa Montini è già stata approfondita sulla nostra pagina web, vale la pena conoscere più da vicino gli altri sei nuovi santi, il più noto dei quali, dopo Paolo VI, è senz’altro monsignor Romero. L’arcivescovo metropolita di San Salvador è stato, per molti versi, uno dei più genuini precursori delle istanze dell’attuale pontificato. Contrariamente alla ‘leggenda nera’ che aleggia sul suo conto, Romero non fu mai simpatizzante di alcuna delle correnti catto-marxiste che andavano per la maggiore negli anni ’70, né tantomeno della Teologia della Liberazione. Al contrario, la sua designazione episcopale a El Salvador, nel 1977, era stata salutata con una certa soddisfazione dal governo locale, visto il profilo sostanzialmente conservatore ed ortodosso in materia di dottrina di monsignor Romero, peraltro piuttosto vicino all’Opus Dei.
La presa di coscienza delle problematiche della sua terra nel suo tempo, lo condussero però ad una interpretazione radicale della dottrina sociale e dell’opzione preferenziale per i poveri. Poco dopo il suo insediamento, l’arcivescovo di San Salvador era rimasto particolarmente scosso dall’assassinio del gesuita Rutilio Grande, suo amico e consigliere. In uno scenario di violenta repressione e di totale abbandono delle classi non abbienti, monsignor Romero non mancò di tuonare apertamente contro i potenti di quell’epoca e contro gli “squadroni della morte” che, impuniti, massacravano i contadini che osavano mostrare la benché minima insubordinazione.