Bene ma non benissimo. Anzi, la strada da percorrere è ancora lunghissima e la vittoria finale è tutt’altro che certa. Stiamo parlando dello stanziamento di 150 milioni di euro per le scuole paritarie, nell’ambito del Decreto Rilancio. Fondi che fanno parte del miliardo e mezzo di euro totale messo in campo dal governo Conte per l’intero sistema scolastico. 65 milioni sono destinati alle materne paritarie, cui si aggiungono 15 milioni di incremento del Fondo nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione. Gli ulteriori 70 milioni sono “in relazione alla riduzione o al mancato versamento delle rette o delle compartecipazioni comunque denominate, da parte dei fruitori fino ai sedici anni di età, determinato dalla sospensione dei servizi in presenza a seguito delle misure adottate per contrastare la diffusione del Covid-19”.
Tutto ciò è il frutto della protesta senza precedenti messa in campo dai rappresentanti delle scuole paritarie (USMI e CISM), con tanto di sciopero (strategia non condivisa da tutti i soggetti parte in causa) e degli hashtag #noisiamoinvisibili e #noisiamoinvisibiliperquestogoverno. A favore della scuola paritaria si sono spese voci importanti del mondo della politica, della cultura e della Chiesa. La CEI ha appoggiato la battaglia, riservandosi la possibilità di aiutare gli studenti più bisognosi con circa 20mila borse di studio. Buona parte del Parlamento – maggioranza e opposizione – si è espresso, almeno a parole, a sostegno delle paritarie, compreso il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Lucia Azzolina. Le dichiarazioni di facciata, tuttavia, non sempre corrispondono ad una reale volontà politica di imprimere una svolta in questo ambito.
Le scuole paritarie sono ormai a un bivio. In crisi già da molti anni, esse rischiano di essere tra le principali vittime dell’ennesima recessione, generata stavolta dagli effetti della post-pandemia. Molte famiglie non potranno più permettersi di iscrivervi i figli e dovranno ripiegare sulla scuola pubblica, con il risultato che, per i mancati introiti delle rette, circa il 30% delle paritarie, alle quali al momento sono iscritti poco meno di 900mila studenti italiani, rischiano seriamente di chiudere. Almeno 250mila bambini e ragazzi si iscriveranno dunque a scuole statali, già gravate dal problema del distanziamento, con una didattica a distanza che, nell’ipotesi più realistica, può prospettarsi come soluzione emergenziale temporanea ma che di certo non può essere vista come “il futuro”. È stato inoltre calcolato che, facendosi carico di migliaia di nuovi allievi da settembre, la scuola pubblica andrebbe ulteriormente a gravare sul bilancio dello stato per 2,4 miliardi euro. Se, invece il governo dovesse riuscire a salvare le scuole paritarie, otterrebbe un notevole risparmio: ogni studente delle paritarie, infatti, costa allo Stato solo 752 euro all’anno, contro i 6006 euro spesi per ogni studente della pubblica. Ed è tutt’altro che scontato che i 150 milioni del Decreto Rilancio saranno sufficienti per scongiurare la chiusura di quasi un terzo delle scuole paritarie.
Per quale motivo, però, vale così tanto la pena battersi per le scuole paritarie? Non certo soltanto per mere ragioni di bilancio. In gioco c’è un principio molto più alto e nobile. La libertà di educazione non è solamente uno dei tre grandi pilastri della dottrina sociale della Chiesa ma è il fondamento stesso di una società libera. La libertà di educazione è tutelata in primo luogo dalla Costituzione Italiana: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 30). Da parte sua, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino riconosce ai genitori il “diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli” (art. 26). Lo stesso principio è garantito dalla Convenzione Europea: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli” (art. 14). Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica riconosce ai genitori la libertà di educare i figli “secondo le proprie convinzioni morali e religiose” (CCC 2211).
La morale cattolica e quella laica, dunque, convergono su un principio fondamentale. L’educazione dei bambini e dei giovani è un bene troppo prezioso per essere delegato in via esclusiva a un apparato di potere che, in molti casi, si rivela fonte di potenziale indottrinamento. Ovunque le funzioni scolastiche siano finite esclusivamente nelle mani dello Stato, ovvero in tutti i regimi totalitari, il disastro non solo educativo ma anche sociale è stato garantito. Viceversa, interi paesi – Italia in primis – sono diventati grandi, proprio grazie all’educazione non statale (cattolica ma non solo), che, per secoli ha rappresentato l’unica forma di educazione. Non è una questione confessionale, dunque, né tantomeno si tratta di difendere le scuole “per ricchi”. Se il nostro Paese vorrà tornare grande, dovrà continuare a tutelare la libertà educativa. Sulla tenuta delle scuole paritarie di qui al prossimo anno scolastico, dunque, si gioca una parte importante del futuro dell’Italia.