La conclusione di ogni #anno porta con sé gli inevitabili bilanci. Qualcuno li accoglie con #gioia, ma più numeroso, di questi tempi, è il “collettivo del bicchiere mezzo vuoto”. Sovente alla meta di San Silvestro si arriva stanchi, talora rimuginando sul Natale appena trascorso, andato così così, o, più in generale, su tutti i propositi rimasti sulla carta. Molti arrivano alla fine di dicembre con il cuore carico di amarezza, perché i desideri non conoscono mai fine ed è sostanzialmente impossibile trovare sulla terra cose o persone in grado di soddisfarli pienamente.
Ci sono anni carichi di grazie (un matrimonio, una nascita, una promozione sul lavoro, un viaggio che ci ha aperto la mente) e altri carichi di dolore (un lutto, la fine di un amore, un licenziamento). Altri anni ancora sono come un caleidoscopio di emozioni contrastanti, cui si stenta a dare un significato compiuto e coerente. Per l’anno successivo, c’è chi si affida agli oroscopi, ammettendo implicitamente l’incapacità di afferrare il timone della propria vita.
Mentre l’uomo carnale è solito trarre bilanci sulla propria vita in base ai “più” e ai “meno”, a ciò che ha conquistato e a ciò che ha perduto, alle soddisfazioni e alle amarezze, per l’uomo spirituale quel bilancio presenta sempre la somma positiva. Com’è possibile questo? Tutto nasce da una realtà che, con l’esperienza, scopriamo essere inconfutabile: il nostro essere figli. Paradossalmente, anche il figlio del padre o della madre più degeneri avrà sempre un moto di riconoscenza nei loro confronti, perché lo hanno messo al mondo e non c’è nulla di più gratuito e incommensurabile del dono di una vita che prosegue.
Quando poi si arriva a riconoscere un’altra paternità, quella infallibile e ineffabile di Dio, allora la nostra gratitudine sarà pressoché definitiva. Ogniqualvolta intoniamo il Te Deum, la sera del 31 dicembre, ci sarà utile riflettere sulle parole di questo inno di lode all’Altissimo, per tutto quello che ha creato per noi, unitamente alla nostra implorazione di figli perché la sua Misericordia ci protegga da ogni peccato e smarrimento. È come se i bilanci periodici sulla nostra vita fossero dei torrenti destinati a dissolversi nel mare magnum dell’onnipotenza di Dio che per noi vuole solo la salvezza.
In occasione delle nostre cene dell’ultimo dell’anno, proviamo a ripetere una tradizione consolidata in molte comunità religiose e laicali: per ogni mese dei dodici appena trascorsi, si accende una candela e chi vuole racconta la sua esperienza più significativa di quei trenta giorni. Un esercizio che potrà aiutarci a discernere il bene in ogni avvenimento. Nei Tabor come nei Golgota della nostra vita ci sarà sempre qualcosa che ci avrà fatto crescere e maturare. Qualcosa che ci farà ripetere una volta di più: “Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore. O eterno Padre, tutta la terra ti adora”.