Sorpresa: tornano in auge i principi non negoziabili

Papa Francesco famiglia battesimo
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Ingerenza. Era forse una dozzina d’anni che non sentivamo più circolare, questa parola, particolarmente abusata nel primo decennio di questo secolo. In particolare, negli ultimi anni del cardinale Camillo Ruini alla guida della Conferenza Episcopale Italiana, la stampa laica si profondeva nelle sue geremiadi sulle “entrate a gamba tesa” della Chiesa in questioni che – a loro dire – avrebbero dovuto rimanere di pertinenza esclusiva dello ‘stato laico’. Ai tempi, in almeno due occasioni la Chiesa l’ebbe vinta: nel 2005, in occasione del referendum sulla legge 40/2004, e nel 2007, con l’accantonamento del disegno di legge sui DICO. Cosa accadde? Semplicemente, l’episcopato italiano si era mostrato intransigente sui valori negoziabili e più della metà del Parlamento fu disposto ad ascoltare la ragioni della Chiesa e a farle proprie.

Tutto è cambiato dal convegno di Todi (2011), quando il successore di Ruini, il cardinale Angelo Bagnasco, accordò con le principali forze politiche, uno spostamento del dibattito sui temi sociali ed economici, anche in considerazione dell’allarme spread e della crisi finanziaria che attanagliavano l’Italia in quella fase. L’elezione di papa Francesco, avvenuta due anni dopo, ha consolidato questo schema e i principi non negoziabili sono usciti dall’agenda delle forze politiche in qualche modo ispirate alla Dottrina Sociale della Chiesa. Con il risultato dell’approvazione di una manciata di leggi palesemente in contrasto con l’etica cristiana: unioni civili, divorzio breve, disposizioni anticipate di trattamento (anticamera dell’eutanasia). Ora è il turno del ddl contro l’omotransfobia.

La nota verbale della Segreteria di Stato Vaticano, recapitata da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli stati della Santa Sede, presso l’ambasciata italiana sembra aver sparigliato le carte in tavola e riportato improvvisamente la Chiesa italiana all’epoca ruiniana. Non era mai capitato che il Vaticano si permettesse di rilevare – esercitando peraltro una prerogativa riconosciuta dai Patti Lateranensi – una violazione dello stesso Concordato. Fin dalle prime battute del dibattito sul ddl Zan contro l’omotransfobia, l’episcopato italiano aveva mantenuto un profilo basso, intervenendo solamente in un paio di occasioni. Nella sua seconda dichiarazione sul tema, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, pur non avvertendo alcuna necessità di approvare una nuova legge, si era detto aperto alla modifica del testo attualmente fermo alla Commissione Giustizia del Senato. A condizione che fosse garantita in modo inequivocabile, almeno la libertà d’opinione e d’educazione da parte della Chiesa.

Una mossa a sorpresa, che ha scatenato grande nervosismo tra i sostenitori più sfegatati del ddl Zan. C’è chi si è affrettato a dire che quella nota della Segreteria di Stato non rispecchiava affatto il pensiero di papa Francesco sull’omofobia e che il documento sarebbe stato recapitato all’ambasciata italiana all’insaputa del Santo Padre. Si è quindi in parte rotto l’“idillio” o presunto tale che, per circa otto anni, era regnato tra il pontefice e un certo universo arcobaleno. Un feeling nato pochi mesi dopo l’elezione al soglio pontificio, quando il Papa “venuto dalla fine del mondo” aveva pronunciato il fatidico “chi sono io per giudicare”, riferito alle persone con tendenza omosessuale. Si era così diffusa la leggenda del primo papa “gay friendly” della storia, non scalfita nemmeno dalle invettive dello stesso Bergoglio contro le “colonizzazioni ideologiche” portate avanti da un’ideologia gender, qualificata un giorno come uno “sbaglio della mente umana”.

I fanatici liberal e lgbt si erano forse illusi di avere la strada in discesa, che tutte le “ingerenze ecclesiastiche” sarebbero rimaste un ricordo del passato. Così non è stato. A cosa è dovuta questa improvvisa “inversione a U” della Santa Sede? Una pura questione formale di rispetto delle procedure? O forse, anche Oltretevere c’è la sensazione che, dall’altra parte, si sta giocando sporco e si è superato ogni limite? Difficile, al momento, dare una risposta esaustiva. Una certezza però l’abbiamo guadagnata: i principi non negoziabili non sono un accessorio utile alla lotta politica in ambito laico o alla disputa accademica in ambito ecclesiale ma il vero fondamento del vivere civile. La Chiesa, pur tra molte titubanze e qualche cedimento, ancora riconosce questi valori, le élite secolarizzate non più e propagandano, in modo sempre più esplicito l’utopia transumanista.

L’Italia, ovviamente, non è l’unico paese in cui il dibattito sui fondamenti dell’umanità sta scuotendo gli assetti ecclesiali nazionali. Si pensi agli Stati Uniti, dove, la Conferenza Episcopale ha votato a larghissima maggioranza per la stesura di un documento sul significato profondo dell’Eucaristia nella vita pubblica. Un’istruzione che, secondo alcuni commentatori, avrà come conseguenza l’esclusione dai sacramenti del presidente americano Joe Biden, a causa delle sue politiche abortiste e filo-lgbt. Probabilmente non si arriverà a questo ma è scontato che la chiesa americana si trova in bilico tra la necessaria puntualizzazione dei suoi valori di riferimento e il rischio di una strumentalizzazione politica di quegli stessi valori.

Una dinamica simile si sta riproducendo anche in Germania, dove però l’episcopato rappresenta la punta più avanzata del progressismo ecclesiale. Il sinodo della chiesa mitteleuropea sta valutando la possibilità di innovazioni talmente radicali, che rischiano di farla uscire dal solco della tradizione e dell’ortodossia dottrinale: benedizioni alle coppie gay, ordinazione delle donne, fine del celibato sacerdotale. In questo delicato scenario, si inseriscono l’ennesimo scandalo di pedofilia – che guarda caso, ha coinvolto il cardinale Rainer Maria Woelki, principale esponente della minoranza conservatrice – e il controverso episodio delle dimissioni (poi respinte dal Papa) da arcivescovo di Monaco-Frisinga, del cardinale Reinhard Marx, di area progressista, uomo di fiducia di Bergoglio nella difficile opera di riforma della Curia Romana.

Il pontificato di Francesco si avvia ormai a tagliare il traguardo dei suoi dieci anni e si ritrova ad uno spartiacque: dove continuare a riformare e dove invece “conservare”? I nodi stanno ormai venendo al pettine ma sappiamo bene che, nei grandi bivi della storia della Chiesa, l’ultima parola non spetta mai agli uomini.