Giorgio Celsi è un infermiere, vive in Brianza da oltre trent’anni. Nel 2008 ha fondato l’Associazione pro-life “Ora et Labora in Difesa della Vita”, di cui ne è il presidente, ed ha come obiettivo la difesa dei principi non negoziabili (la vita dal concepimento alla sua fine naturale, la famiglia basata sull’unione tra un uomo e una donna, il diritto dei genitori all’educazione dei figli e la tutela dell’identità individuale contro l’indottrinamento “gender”) tutto questo attraverso la preghiera, la testimonianza e la promozione della cultura della Vita.
Giorgio come ti sei avvicinato alla tematica dell’aborto e cosa ti ha spinto ad aprire un’associazione in difesa della vita?
Perché il mio impegno a Difesa della Vita concepita? Penso come diceva Madre Teresa di Calcutta che: “L’aborto è il più grande distruttore della pace oggi nel mondo, il più grande distruttore dell’amore”. Aggiungerei che uccidere un bambino nel grembo materno oltre ad essere un delitto, aggravato dalla premeditazione e dal fatto che chi viene eliminato è un bambino che non può difendersi è anche un olocausto innocente a Satana. Il prezzo di quel sangue innocente libera ogni volta un demone in più. Il prezzo, di quel grave peccato, di fatto: CONTRIBUISCE concretamente a oscurare sempre più la Terra.
L’esperienza poi di mia sorella, che dopo due aborti volontari è da anni ricoverata in un centro per anziani e per malati di mente (e pensare che lavorava come ragioniera in Regione Marche), dimostra che non si può pensare di aiutare una mamma, uccidendo il frutto dell’amore che porta in grembo e che c’è qualcosa di diabolico nell’aborto, perché Satana riesce a fare in modo che un bambino non possa contare sull’amore della sua mamma che diventa così la sua carnefice”. Io penso fortemente che una mamma in difficoltà per una gravidanza difficile la si può aiutare solo superando insieme le difficoltà e non continuando ad essere immersi in una cultura che insegna alle donne tutti i metodi per abortire invece di aiutarle in tutti i modi a far nascere e a crescere i loro bambini!
Penso che non è più tempo di tacere perchè a forza di silenzio il mondo sta marcendo, ricordiamoci che è in atto una battaglia tra il bene e il male, tra la luce contro le tenebre, tra la Vita contro la morte, tra la verità contro la menzogna, dal cui esito dipenderà il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Parlaci dell’iniziativa “Camminiamo per la vita”. Di cosa si tratta?
E’ un’idea a cui ho pensato circa due anni fa.
“CamminiAMO per LA VITA”, in piena sintonia con il motto dell’associazione e grazie alla collaborazione di alcuni sacerdoti, prevede – generalmente il sabato – di trovarsi in chiesa per una preghiera comune, per poi dividersi in due gruppi: uno prosegue la preghiera davanti al Santissimo Sacramento, mentre l’altro si dedica alla “evangelizzazione di strada”, per poi partecipare tutti insieme alla Santa Messa prefestiva.
Sicuramente per mezzo dell’associazione avrete conosciuto molte donne che hanno praticato l’interruzione di gravidanza. Parlando con alcune di loro, avete riscontrato dei pentimenti, delle sofferenze dovute alla scelta fatta?
L’aborto è il peccato più terribile. Non c’è nulla di più terribile di una madre che uccide il proprio figlio (dico mamma perché l’aborto non evita la maternità, ti rende solo mamma di un bimbo morto per giunta ucciso proprio per tua volontà) e ho constatato per esperienza che prima o poi tutte queste mamme mancate si pentono del loro gesto! Persino la Bonino per quanto impegnata a far morire i figli degli altri spacciando l’aborto per un diritto, in un intervista del 2006 al giornale Grazia alla domanda su cosa aveva provato ad abortire il suo bambino ella rispose: “Solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito. Quando mi hanno chiesto di scegliere fra le varie tecniche possibili, ho detto: fate voi, non voglio saperne niente. Ero spaventata. Non potevo prevedere che per anni avrei lavorato su questi temi, che la mia solitudine sarebbe diventata indignazione”. Ed è terribile quando sempre in quell’intervista dice: “Cerco l’amore e piango” quando l’amore l’avrebbe ricevuto sicuramente da quel bambino che ha abortito coscientemente, essendosi fatta ingravidare unicamente a questo scopo, quindi per meri fini ideologici e di disobbedienza civile.
Io sono un infermiere e, lavorando da molti anni in psichiatria, ho curato moltissime mamme affette dalla Sindrome Post Aborto.
Ho constatato che, per le mamme che hanno abortito, l’unico modo per superare il lutto (perché proprio di un lutto si tratta) è quello di riconciliarsi con il loro bambino e con Dio e riparare, aiutando altre mamme a non essere ingannate da quello che viene spacciato loro come un diritto, ma che in realtà è un delitto, per giunta premeditato e aggravato dal fatto che chi viene ucciso è il proprio figlio innocente ed indifeso.
Infatti le donne, la cui testimonianza è maggiormente efficace nei miei gruppi e nelle altre associazioni Pro Vita, sono proprio mamme che hanno abortito.
Ci sono donne che invece nonostante aver scelto l’aborto, a distanza di tempo, rimangono dell’idea che era l’unica “soluzione”
Penso che molte attiviste pro morte, che vengono a contrastarci fuori dagli ospedali siano mamme che hanno abortito e che così facendo vogliono continuare a giustificare l’ingiustificabile; io non mi spiego infatti per quale motivo, se sono convinte di aver fatto la cosa giusta, si mettano a discutere con chi le mamme le vuole invece aiutare, contestandoci anche ricorrendo alla violenza verbale e persino fisica o ad atti vandalici. Questo loro atteggiamento è invece a mio avviso la dimostrazione che non vivono in pace né con loro stesse, né con il bambino, che hanno abortito.
In queste vostre iniziative pro- life è sempre presente la preghiera, addirittura comunitaria, nei giorni in cui vengono praticati gli aborti?
Certamente. E’ persino ribadito nel nome della nostra associazione: la preghiera è la nostra prerogativa principale, in quanto siamo convinti che la battaglia contro l’aborto è prevalentemente di natura spirituale.
Ricordiamoci sempre le parole di Nostro Signore: “Senza di me non potete nulla”, che sono di grande aiuto anche per mantenerci nell’umiltà.
Tra tutte le preghiere, inoltre, il rosario è tra le più efficaci.
Benedetto XVI lo ha definito: arma spirituale nella lotta contro il male.
Avete collocato davanti alcuni ospedali abortisti, dei cartelloni pro-life. Qual è stata la reazione?
Finora abbiamo collocato pubblicità pro-life davanti a 3 diversi ospedali.
Di queste, una sola è rimasta, pur avendo subito un attacco vandalico, mentre le altre due sono state rimosse in seguito alle contestazioni delle femministe o al ripensamento della direzione sanitaria, che temeva fossero effettivamente troppo efficaci e perciò lesive degli interessi economici dell’azienda ospedaliera.
Una delle iniziative che state organizzando attualmente è “40 giorni per la vita” di che si tratta?
Il prossimo 7 aprile 2019 prenderà l’avvio l’iniziativa nazionale 40 giorni per la Vita, promossa dalle associazioni “Ora et Labora in difesa della Vita” e “Universitari per la Vita”, sul modello dei 40 days for life, nati nel 1998 in Texas.
Si tratta di quaranta giorni consecutivi di intensa preghiera, digiuno e testimonianza pro-life, che si concluderanno sabato 17 maggio, alla vigilia della Marcia Nazionale per la Vita a Roma.
In ogni giornata verranno organizzate una o più veglie di preghiera e testimonianza di almeno 3 ore complessive, davanti ad ospedali abortisti in varie città d’Italia, a staffetta, sul modello delle 2 ore per la Vita dello scorso 6 ottobre 2018.
I 40 giorni saranno accompagnati dalla preghiera e dal digiuno di quanti vorranno sostenere l’iniziativa in questa modalità meno visibile, ma non meno efficace.
Le associazione pro-life che vorranno aderire alle veglie, potranno utilizzare le proprie insegne.
Incoraggiamo tutti coloro che hanno a cuore i principi non negoziabili, con particolare riferimento alla tutela della Vita nascente, ad unirsi a noi, in una o più delle diverse modalità possibili:
- Organizzando una veglia di preghiera davanti all’ospedale della propria città, privilegiando i giorni non ancora assegnati, in modo da garantire al più presto la copertura dell’intero periodo;
- Partecipando ad una delle veglie già in calendario;
- Pregando e/o digiunando con l’intenzione di fermare la piaga dell’aborto. Quest’ultimo invito è rivolto in particolare ai religiosi, laici consacrati, aderenti a gruppi di preghiera, ma anche anziani, ammalati e in generale a chi sia impossibilitato a partecipare fisicamente alle veglie davanti agli ospedali.
Lo scorso febbraio è uscito il tuo libro “Angeli della vita” realizzato insieme all’Avvocato Gianfranco Amato e Wanda Massa. In questo libro vi sono testimonianze di diverse personalità pro-life. Ce ne racconti qualcuna?
Il libro Angeli della Vita riporta le testimonianze di svariate personalità pro-life: medici, giuristi, giornalisti, economisti, artisti, religiosi e consacrati.
Vi dirò qualcosa di me, visto che la mia testimonianza compare nel libro, per le altre vi invito ad acquistarlo e soprattutto a regalarlo per contribuire a diffondere la cultura della Vita.
Vi racconto un aneddoto. Un giorno fuori dalla clinica Mangiagalli a Milano ho avuto un colloquio con una persona, che mi ha chiesto:
“Perché da anni continui a venire fuori da questa clinica, non vedi che non ti ascolta nessuno e solo pochi ti prendono i volantini?”.
– Verrò qui finché non cesseranno di uccidere bambini con gli aborti.
“Ma non riesci a capire che non smetteranno mai di farli?”
– E io allora non cesserò mai di venire qui.
In quel momento mi è venuto in mente il brano
“Il Narratore” di Bruno Ferrero:
“C’era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d’anima. E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un’idea. “E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell’amore, li porterei sicuramente alla felicità”. Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d’amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò.
Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno. Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni. Una sera d’inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Apri gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
“Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?”.
“Amo i miei simili” rispose il narratore. “Per questo mi è venuto voglia di renderli felici”. Il ragazzo ghignò: “Povero pazzo, lo sono diventati?”.
“No” rispose il narratore, scuotendo la testa.
“Perché ti ostini allora?” domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
“Continuo a raccontare. E racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo”. Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.
E disse ancora: “Oggi racconto perché il mondo non cambi me”.
Questa bellissima storia deve essere da stimolo a tutti i difensori della vita nel continuare a raccontare la loro storia, nonostante l’ostilità, le mille difficoltà, l’indifferenza della gente, che è poi la culla delle peggiori atrocità. Consci del fatto che, come diceva Martin Luther King “Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano”.
Servizio di Rita Sberna