Tre anni fa, di questi tempi, pubblicammo un’editoriale intitolato Si può rendere grazie a Dio anche per un anno poco lieto? La risposta a questa domanda era e rimane sì. Se è vero che sono le difficoltà che temprano il carattere delle persone, allora anche il 2020 appena trascorso, potrà essere ricordato come uno degli anni più importanti della nostra vita. Un anno per cui, per forza di cose, ci sarà tanto da ringraziare.
Cristianamente parlando, sappiamo bene quanto la Croce non sia una maledizione, bensì una prova che il Signore manda per testare la fedeltà dei suoi figli. Ciò premesso, non c’è alcun dubbio: coloro che hanno vissuto nel migliore dei modi questa pandemia corrispondono a coloro che hanno una fede più grande. Molti di coloro che parevano averne tanta, l’hanno persa o si sono rivelati come l’uomo del Vangelo che costruì la sua casa sulla sabbia (cfr Mt 7,24–27; Lc 6,46-49). Accanto a questi, con grande sorpresa, abbiamo visto tante altre persone, dalla formazione non esattamente cattolica né cristiana, che hanno mostrato una fede enorme; non perché si siano convertiti ma perché hanno dimostrato di credere veramente in qualcuno o in qualcosa, dando la vita per nobili obiettivi.
Quelle frasi fatte che ingannano
Quando le difficoltà impazzano, è più difficile essere ipocriti: il meglio e il peggio dell’umanità emergono in tutta la loro potenza. Come in tempo di guerra, in pandemia è diventato più facile distinguere chi aveva intenzioni genuine e chi no. In un mondo in cui gli spostamenti sono diventati più difficili ma in cui, come afferma papa Francesco, “tutto è intimamente connesso”, si sono diffusi con velocità impressionante slogan, abitudini, modi di dire e di pensare che, solo poche settimane prima, non avremmo mai immaginato. Uno su tutte: “Nulla sarà più come prima”. Un’affermazione, quest’ultima che, onestamente, lascia piuttosto perplessi. Molte cose sono cambiate e cambieranno, è vero, ma normalmente, quando arriva una mareggiata o un’alluvione, l’istinto umano è quello di mettere in salvo le proprie cose più preziose. Come affermava il Cristo di Don Camillo, “bisogna salvare il seme”.
E in cosa consiste questo seme? In tutto quello che ci è sinceramente mancato durante il 2020. In tutto quello che l’emergenza ci ha tolto. Chi ha perso un proprio caro per colpa della pandemia, non potrà riaverlo indietro ma è l’occasione per ricordare che la vita eterna esiste davvero e non è una favola illusoria. Chi ha perso il lavoro, si è reso conto di quanto sia importante averne uno: potrà quindi lagnarsi o disperarsi oppure rimboccarsi le maniche e, il giorno che lo ritroverà, lo apprezzerà molto più di prima. C’è chi ha dovuto sopportare la lontananza dagli amici e dai viaggi. C’è chi ha dovuto rinunciare allo sport o a un’attività artistica. I cattolici, per due mesi e mezzo, hanno dovuto rinunciare a quanto di più prezioso c’è per loro: l’Eucaristia.
Grande reset: cui prodest
Le rinunce che abbiamo dovuto sopportare sono tante. In alcuni casi, non tutti i mali vengono per nuocere: ci siamo liberati di molti futili vezzi e di tanti orpelli inessenziali. Si è molto parlato di “frugalità” e di nuovi stili di vita “austeri”. Un ritorno all’essenziale, però, non può assolutamente escludere le cose più preziose che ci sono state tolte. A chi – senza troppo pensarci – ripete: “Nulla sarà come prima”, andrebbe quindi risposto che l’umanità rinnovata e purificata da questa enorme prova, andrà avanti e sopravvivrà proprio grazie alle cose più preziose di ‘prima’: la fede, la famiglia, gli affetti, gli abbracci, il contatto con l’arte e la natura.
Senza illuderci che l’emergenza si esaurisca in tempi rapidi, l’augurio che possiamo fare ai nostri lettori è quello di un ritorno alla normalità. Non all’utopistica “nuova normalità” di cui ultimamente elucubrano tanti futurologi dell’ultim’ora. Non una normalità imposta dal nuovo messianismo sanitario, né da tecnologie che, in cambio della comodità, rischiano di distruggere la genuinità dei rapporti umani. In giorni in cui molti commentatori, spesso senza cognizione di causa, parlano di grande reset, osiamo dire che non permetteremo mai alcun reset dell’amore o della fede. Non permetteremo mai che venga resettata la nostra libertà di dire cosa per noi sia giusto o sbagliato.
2021: ecco cosa ci auguriamo
Ci auguriamo che il Covid, come qualsiasi altra malattia, si possa curare liberamente, con farmaci o vaccini, nell’interesse della gente e dei malati, non delle case farmaceutiche. Ci auguriamo che la scienza sia veramente al servizio dell’uomo e non degli scienziati prezzolati dalle multinazionali. Ci auguriamo che si dissolva il terribile piglio moralista, con cui si sta pretendendo di gestire l’attuale emergenza. Che si possa vedere la fine delle “guerre tra poveri” e delle divisioni tra la gente, che fanno solo il gioco dei (pre)potenti. Ci auguriamo che il nuovo presidente deli USA, agisca per il bene del suo popolo e dei popoli tutti, non in nome degli interessi di poche élite.
Ci auguriamo che i due grandi eventi sportivi slittati dall’anno scorso – Europei di calcio e Olimpiadi di Tokyo – siano un momento di festa e di gioia per un’umanità che ha voglia di ricominciare. Ci auguriamo che il viaggio del Papa in Iraq previsto per marzo, rimetta in gioco una Chiesa pellegrina per il mondo, pronta a spargere nuovi semi di pace. Ci auguriamo che il 40° anniversario delle apparizioni di Medjugorje diventi un’occasione per ricordare al mondo, che il vero protagonista della storia è Dio. A tutti voi, lettori di Cristiani Today e a tutti i vostri cari, auguriamo un 2021 di salute fisica e spirituale, libertà e amore. Quello vero.