Aborto: il falso mito della libertà delle donne
A poco più di una settimana dalle celebrazioni – festose o luttuose a seconda dei punti di vista – per il quarantennale della #legge194, è ora di fare un punto della situazione a freddo in merito al dibattito sull’#aborto. Come già era emerso nelle settimane del tragico caso di #Alfie Evans e come si è ripetuto anche dopo l’esito del #referendum in #Irlanda, c’è il rischio di una lettura degli eventi profondamente condizionata dall’emotività o dalle facili valutazioni morali, sempre nel segno di giudizi polarizzati e omologati, come si riscontra in particolare nei social.
A bocce ferme, proveremo allora ad analizzare tre aspetti del problema in tre contesti diversi, senza pretendere di fornire un’analisi esaustiva ma con il solo scopo di suscitare una riflessione.
Il caso irlandese. La recente approvazione semiplebiscitaria (68% di sì, contro il 32% di no) della legalizzazione dell’aborto nell’ormai ex “cattolicissima” Irlanda, lascia senza dubbio l’amaro in bocca se si pensa che la tutela dell’embrione fin dal momento del concepimento era sancita dalla Costituzione sin dal 1983. Nel caso irlandese, si sono ripetute alcune delle dinamiche che determinarono l’approvazione della legge 194 in Italia, in particolare il falso argomento della legalizzazione come contrasto all’aborto clandestino, che metterebbe a repentaglio la vita delle donne che lo praticano: a tal proposito, i sostenitori del Sì hanno strumentalizzato il caso di Savita Halappanavar, giovane di origine indiana, morta per setticemia nel 2012 a Galway, durante una gravidanza a rischio. Per non parlare del fenomeno del “turismo abortivo”, per il quale da 50 anni, centinaia di donne irlandesi andavano a interrompere la gravidanza nella vicina Gran Bretagna.
Una componente decisiva nella svolta storica dell’Irlanda lo ha avuto comunque anche la brusca accelerazione del secolarismo nell’isola britannica, cagionato in maniera considerevole anche dagli scandali di pedofilia che hanno coinvolto il clero. Isolata e ferita, la Chiesa irlandese ha evidentemente perso il suo tradizionale appeal nei confronti della popolazione, per non parlare delle istituzioni civili, se si pensa che la totalità dei partiti rappresentati in Parlamento si sono schierati per il Sì, come del resto era già avvenuto appena tre anni fa, con il referendum su matrimoni e adozioni omosessuali. L’esatto opposto di quanto è avvenuto in molti paesi ex comunisti (Polonia, Croazia e Slovenia in particolare), dove la forza, l’influenza e la credibilità delle chiese e dei laicati – sempre dalla parte del popolo, specie durante le dittature – ha contribuito a mandare a gambe all’aria vari progetti di estensione dell’aborto o di liberalizzazione dei matrimoni omosessuali.
Il caso italiano e la libertà d’espressione. In Italia, da molti anni, il dibattito sui diritti del nascituro tende a languire. La legge 194/78 ha determinato una situazione paradossale, in cui i suoi più inconsapevoli avversari sono proprio coloro che la considerano un totem, dimenticando però che è la stessa normativa del 1978 a tutelare l’obiezione di coscienza (che taluni vorrebbero abolire…) e a stabilire strumenti di prevenzione dell’aborto e di tutela della vita nascente attraverso i consultori. Rimanendo la 194, una legge intrinsecamente ingiusta, in assenza di strumenti giuridici utili all’immediata abolizione, allo stato attuale, è probabilmente più utile lavorare sull’opinione pubblica, per mostrare quanto l’opzione per la vita paghi sempre e da tutti i punti di vista.