Alfie: il “gladiatore della tenerezza” che fatto alzare in piedi un popolo
A tre giorni dalla sua morte, sarà opportuno tornare sulla vicenda del piccolo #Alfie Evans. Trascorso il momento della rabbia e della commozione, è importante cercare anche di ragionare, con un minimo di calma e distacco, su quanto è accaduto e su quanto ancora potrebbe accadere, traendone una lezione per il futuro immediato e per quello delle prossime generazioni.
Il Male si è tolto la maschera. Per la prima volta dalla fine dei regimi nazifascisti, nella civilissima Europa occidentale, l’iniquità e la malvagità hanno mostrato in modo più che palese, di essere al potere. Le leggi antivita (aborto in particolare ma anche eutanasia) sono vigenti ormai da decenni in quasi tutti gli ordinamenti nazionali del vecchio continente, tuttavia, mentre l’introduzione di tali normative inique è stata compiuta in nome della presunta autodeterminazione dell’individuo, nel recente caso di Liverpool, la cultura della morte è stata imposta dalla magistratura e in modo forzato, secondo logiche non lontane da quelle dell’aborto obbligatorio praticato in Cina, India, Pakistan e altri paesi asiatici. Con la vicenda di Charlie Gard lo scorso anno e quelli più recenti di Isaiah Haastrup e di Alfie Evans, nel Regno Unito si è voluto imprimere un vero “colpo di mano”, con tre casi di eutanasia infantile eseguita contro il parere delle famiglie. Tre casi che costituiscono dei precedenti e che verosimilmente faranno giurisprudenza, in un paese dove l’eutanasia formalmente non è ancora legale ma è già largamente praticata nella maggior parte degli ospedali. Secondo dati riportati dal Daily Telegraph nel maggio 2016 (quindi almeno un anno prima che scoppiasse il caso Gard), sono intorno ai 40mila l’anno, i pazienti cui viene “staccata la spina”, senza consultare i parenti, su un totale di 200mila. Secondo la stessa indagine sette pazienti terminali su dieci vorrebbero concludere i propri giorni in casa, circondati dall’affetto dei propri cari ma nella realtà, ciò si verifica solo nel 23% dei casi.
La pertinacia con cui i medici e gli infermieri dell’Alder Hey Hospital di Liverpool e la magistratura britannica, in tutti i gradi di giudizio, si sono opposti al trasferimento del piccolo Alfie in altre strutture sanitarie (il Bambino Gesù di Roma e altri due ospedali italiani si erano resi disponibili), spalleggiati in modo pressoché unanime dalle istituzioni (governo, Casa Reale e persino i vescovi), mostrano quanto oltremanica la “cultura dello scarto” sia radicata, al punto da compromettere la libertà di scelta dei privati cittadini e delle famiglie. Lo spiegamento di forze dell’ordine dentro e fuori l’Alder Hey, l’impedimento a nutrire, idratare e alimentare Alfie anche quando il bimbo incredibilmente stava sopravvivendo all’estubazione, fino al verosimile inganno inflitto a Tom e Kate Evans, probabilmente illusi sulle dimissioni del figlioletto in cambio del “silenzio stampa”: tutte crudeltà gratuite che dimostrano il clima intimidatorio che in questo paese regna nei confronti di chiunque voglia tutelare le “vite futili” dei deboli, dei malati gravi. Un fenomeno che ha precedenti solo nella Germania nazista ma che, nel Regno Unito, è figlio di una cultura eugenetica, maltusiana e darwiniana, egemone ormai da due secoli, che in questi anni sta maturando i suoi frutti avvelenati.