Asia Bibi: come Gesù davanti a Pilato
Una donna pakistana di 47 anni, madre di cinque figli, sta tenendo il mondo col fiato sospeso. Il destino di #AsiaBibi è appeso al verdetto dei giudici della Corte Suprema di Islamabad, che si pronunceranno nei prossimi giorni sulla condanna a morte o sulla grazia. Unica vera colpa dell’imputata: essere cristiana. Nel silenzio colpevole della maggior parte dei media, da nove anni si sta consumando il dramma di una donna diventata ormai un simbolo del martirio cristiano nel XXI secolo.
L’antefatto. Nel giugno 2009, Asia, di professione bracciante agricola pagata a giornata, si ritrova a discutere vivacemente con le colleghe, di religione musulmana, che la accusano di aver bevuto acqua alla loro brocca, cosa non consentita a una cristiana. Nel corso del diverbio, le altre donne la accusano di aver offeso Maometto e Asia Bibi finisce in carcere con l’accusa di blasfemia, reato per il quale in Pakistan è prevista la reclusione e finanche la pena di morte.
Rinchiusa nel penitenziario di Sheikhupura, poi, nel 2013, in quello femminile di Multan, Asia Bibi è stata oggetto di tre processi. Nel 2010, in primo grado è stata ritenuta colpevole di blasfemia “senza attenuanti”. Nel 2014, dopo il ricorso dei familiari, l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sentenza di colpevolezza e la condanna alla pena capitale. Un anno dopo, tuttavia, la pena è stata sospesa.
Reclusa innocente. Asia Bibi si è sempre proclamata innocente e vittima del pregiudizio anticristiano. Del resto, in Pakistan, la legge antiblasfemia, pur essendo valida universalmente, viene quasi sempre strumentalizzata ai danni delle minoranze religiose, cristiani in primis. In questi quasi dieci anni di detenzione, forte preoccupazione hanno destato, a più riprese, le condizioni psico-fisiche della detenuta. Familiari e altri visitatori in carcere hanno costantemente riferito dell’enorme sofferenza patita dalla donna che, tuttavia, ha sempre avuto parole di perdono per chi le ha tolto la libertà, pur rifiutandosi stoicamente di convertirsi all’Islam.
Sostegno ‘prudente’ del Papa. I familiari di Asia Bibi sono stati ricevuti da papa Francesco in Vaticano il 24 febbraio 2018: “Penso molto spesso a tua madre e prego per lei”, ha detto in quell’occasione il Santo Padre, rivolto al figlio di Asia, Eisham. Per il Pontefice, la detenuta pakistana è realmente una “martire” e rappresenta “un modello per una società che oggi ha sempre più paura del dolore”. In cella, Asia ha ricevuto il rosario donato dal Papa ai familiari. Un vero “miracolo”, in quanto è stata “la prima volta in nove anni che mi consentono di tenere in cella un oggetto religioso”, avrebbe commentato la donna, accogliendo quel rosario con “devozione” e “gratitudine”. Il profilo basso tenuto da Francesco non è affatto segno di una tiepidezza riguardo alla vicenda, bensì di un atteggiamento prudenziale, onde evitare eccessivo clamore sulla vicenda e prevenire ulteriori episodi di violenza in Pakistan.