Biotestamento? Preferisco vivere!
È la cultura eugenetica della falsa compassione, che animava anche il regime nazista e i medici ad esso affiliati. Una verità scomoda, che pochi hanno il coraggio di gridare. Oggi le spaventose ideologie omicide del secolo scorso, lasciano spazio a un’altra ideologia più sottile ma non meno criminale: quella dell’efficientismo economico e antropologico, per il quale i malati e i deboli sono un peso per la società e un costo per il sistema sanitario. La vita non è più un bene prezioso e incommensurabile, degno di essere tutelato fino all’ultimo istante, ma assume valore solo se veicolata ad un corpo sano e produttivo. Un po’ come avveniva nell’antica Sparta, dove i neonati disabili venivano gettati dalla Rupe Tarpea.
Ultimo ma non ultimo: sul fine vita, non vi è stata alcuna apertura da parte di papa Francesco. Nel suo messaggio al presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Vincenzo Paglia, in occasione del Meeting Regionale Europee della World Medical Association sulle questioni del “fine-vita”, il Santo Padre ha rimarcato che, a fronte dei progressi nelle tecniche terapeutiche, “oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”. Francesco ribadisce, quindi, il no all’accanimento terapeutico ma, nel medesimo discorso, conferma anche che l’eutanasia “rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”. Entrambe le degenerazioni menzionate entrano in conflitto con l’“imperativo categorico” di “non abbandonare mai il malato” e di resistere alla “tentazione di sottrarci alla relazione” con il malato, sia esso anche morente, terminale, in stato vegetativo o di sedazione. In queste situazioni, raccomanda il Papa, tutti sono chiamati ad essere “solidali” e ognuno è chiamato all’“amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere”. Anche nell’impossibilità di una “guarigione”, dobbiamo “sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte”, secondo i principi della “medicina palliativa”. Di fronte a parole come queste è difficile pensare a qualsivoglia “apertura”, al di fuori di quella dell’amore gratuito per i tutti i sofferenti. Sono questi i veri antidoti contro la cultura della morte, che leggi come quella sul biotestamento continuano a veicolare. [Luca Marcolivio]