È il terzo a perdere i diritti legati al cardinalato nel giro di appena cinque anni. Dopo Keith O’Brien (2015) e Theodore McCarrick (2019), entrambi coinvolti in abusi sui minori, la settimana scorsa a cadere in disgrazia è stato il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Angelo Giovanni Becciu. Il porporato sardo conserverà la berretta cardinalizia ma è stato privato delle prerogative legate al suo status, a partire dalla partecipazione ai concistori e ai conclavi (cfr artt. 349-353-356 Codice Diritto Canonico).
L’ennesimo tsunami che si è abbattuto su un Vaticano da quasi un decennio provato dagli scandali, parte da un’inchiesta dell’Espresso, che ricostruisce la trama di operazioni finanziarie che Becciu aveva messo in moto negli anni in cui ricopriva l’incarico di Sostituto alla Segreteria di Stato. L’alto prelato avrebbe agevolato un’impegnativa di spesa (tre emolumenti per un totale di 700mila euro) a favore della cooperativa Spes, gestita dal fratello Antonino a Ozieri, in Sardegna, distraendo fondi sia dall’8 per mille, sia, in misura minore, dall’Obolo di San Pietro. L’altra vicenda che ha messo nei guai Becciu è l’affidamento delle finanze vaticane a una società esterna che avrebbe poi investito in paradisi fiscali. In particolare, il porporato sarebbe coinvolto nell’acquisto di un appartamento a Londra con soldi, anche in questo caso, distratti dall’Obolo di San Pietro.
Papa Francesco non ci ha pensato due volte: convocato il porporato sardo, giovedì 24 settembre, gli ha dato il ben servito. “Non hai più la mia fiducia”, avrebbe detto il Pontefice a Becciu (con riferimento alla sola vicenda sarda ma senza alcun accenno a quella londinese), inducendolo così a dimettersi da prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e a rinunciare alle prerogative cardinalizie. Un’operazione giudicata unanimemente come irrituale, nella misura in cui, non è stata ancora attivata alcuna azione giudiziaria contro il cardinale Becciu, né da parte dello stato vaticano, né di quello italiano. Lo stesso Becciu si è difeso, affermando di avere in realtà destinato 100mila euro dell’Obolo di San Pietro alla Caritas di Ozieri, sua diocesi di origine, devastata dalla disoccupazione.
Non è certo la prima volta che un membro così rilevante della Curia Romana finisce nella bufera ma nessuno è mai stato punito tanto severamente quanto Becciu. Nemmeno il cardinale George Pell, che pure ha subito l’ignominia di un’accusa per abuso sessuale su due chierichetti, ha pagato un conto così alto. Proprio Pell, che, nel 2017, a seguito dello scandalo che lo vide coinvolto, si autosospese da Prefetto della Segreteria per l’Economia e da membro del “C9” per le riforme in Vaticano, è sempre stato indicato come il più acerrimo avversario di Becciu. Più volte il porporato australiano avrebbe chiesto di indagare sulle “spese pazze” dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato e ora, dopo l’assoluzione dalle infamanti accuse nella sua diocesi di origine, è tornato a Roma, non prima di avere rilasciato un commento al vetriolo sulla vicenda: “Il Santo Padre venne eletto per pulire le finanze vaticane – avrebbe scritto Pell –. Ha fatto un lungo lavoro e deve essere ringraziato e congratulato per i recenti sviluppi. Spero che la pulizia nelle stalle prosegua sia in Vaticano che a Vittoria (stato australiano dove il cardinale è stato processato, ndr)”. Secondo fonti attendibili, sarebbe stato proprio il Papa a convocare Pell in Vaticano, per avere la sua versione sul caso Becciu.
Perché questo provvedimento così drastico da parte del Santo Padre nei confronti di quello che era da anni considerato un suo uomo di fiducia? È evidente che nella difficile opera di pulizia delle finanze vaticane e di riforma della Santa Sede, Bergoglio si trovi sempre più in difficoltà e circondato da uomini ostili o subdoli, spesso in guerra tra di loro. Ciò che indubbiamente è in forte declino è la credibilità dei vertici ecclesiali, che, per forza di cose, si riverbera sulla base dei fedeli comuni. A conferma di ciò, troviamo il crollo verticale delle offerte a beneficio dello stesso Obolo di San Pietro e, a livello nazionale, dell’Otto per Mille alla Chiesa italiana. Le crisi morali non sono una novità nella storia della Chiesa istituzionale. Ruberie e corruzioni a più riprese sono state all’ordine del giorno in Vaticano. Anche la divisione in fazioni e consorterie non nasce certo in tempi recenti. Oggi, però, grazie all’onnipervasività dei mezzi di informazione, questi scandali sono sotto gli occhi di chiunque e di certo non possono che rafforzare nelle loro posizioni quanti, per i più disparati motivi, non amano il cattolicesimo.
La Chiesa, però, non è un ente morale e non trova certo il proprio fondamento nelle disponibilità finanziarie ma su Gesù Cristo che ne affida le chiavi a San Pietro. Troppo spesso abbiamo puntato il nostro sguardo sulle strutture esteriori della Chiesa stessa, preoccupandoci in primo luogo di preservarla dalla corruzione e, al contempo, di svecchiarla da certe incrostazioni e anacronismi che ne compromettevano la funzionalità e l’immagine nel mondo. E ci siamo così trovati davanti al paradosso di una Chiesa che, nel tentativo di purificarsi dallo spirito mondano, si è curata soltanto della sua credibilità, anteponendo l’essere gradita agli uomini all’essere gradita a Dio. Tornare a Cristo e al Vangelo, quindi, allo stato attuale, diventa l’imperativo più urgente. Pregare di più è una responsabilità che coinvolge tutti: pastori e gregge. E i fedeli sono imprescindibilmente chiamati a pregare per il clero, i vescovi e il Papa. È solo rimettendo Cristo al centro, che la corruzione è vinta. È solo pregando che il male viene sconfitto. È solo nell’affidamento a Gesù e Maria che Satana e tutte le sue opere finiscono gambe all’aria.