Cattolici e politica: Houston, we have a problem…
Una grande confusione regna sotto il #cielo. Mai come durante questa #campagnaelettorale, il mondo cattolico si era mostrato così diviso in fazioni. Malizie, insulti, dispetti, calunnie e colpi bassi che riportano alla memoria le faide medioevali: guelfi e ghibellini, guelfi neri e guelfi bianchi… È un dato di fatto che, ormai da un quarto di secolo, il voto cattolico si è disperso tra una pluralità sempre maggiore di formazioni politiche. La vera novità è che, probabilmente per la prima volta, veicolato in particolare dalle reti sociali e dal web, il dibattito pre-elettorale coinvolge sempre più la base, gettando i votanti cattolici in una dialettica virulenta. Attriti che, sorprendentemente ma non troppo, si accendono in modo particolare quando le differenze di pensiero sono più sfumate. Davvero sconfortante, se è vero che, come affermava il beato Paolo VI, la politica dovrebbe essere “la più alta forma di carità”. C’è indubbiamente un forte malessere, in cui la crisi morale, la crisi antropologica, la crisi socio-economica e anche la crisi religiosa si intrecciano in un circolo vizioso apparentemente inestricabile.
Uno dei fattori che sfuggono agli osservatori più superficiali è il sempre più crescente tasso di astensione dalle urne da parte dei cattolici praticanti: un fenomeno che ha conosciuto una brusca accelerazione già alle elezioni politiche del 2013 e che è sicuramente una conseguenza delle divisioni di cui si parlava pocanzi e della dispersione del voto tra tanti piccoli gruppi di interesse o di orientamento ideologico, sempre più isolati gli uni dagli altri. C’è da dire che spesso questi cattolici “astensionisti” – tra cui molti giovani – sono identificabili con quella parte di elettorato meno ideologizzata e più attenta agli ideali evangelici e ai principi del Catechismo. Schifati sia dalla rissosità dei cattolici “social”, sia dalla corruzione della classe politica, costoro non necessariamente sono tra coloro che “guardano la vita dal balcone”, anzi molti di loro sono impegnati nel volontariato e in opere caritative. Questa divaricazione tra “cattolici in politica” e “cattolici del sociale” – quantunque tra i due mondi ci sia ancora un interscambio importante – dovrebbe far riflettere sociologi, giornalisti e studiosi che, però, dimostrano di ignorare o sottovalutare il fenomeno.
Mai come in questa campagna elettorale, inoltre, le gerarchie ecclesiali ed episcopali avevano mantenuto un profilo così basso. È il segno che davvero sono finiti i tempi dei “vescovi e monsignori pilota”, proprio come auspicato da papa Francesco, e i laici, più che mai, sono chiamati a maggiore autonomia e senso di responsabilità. I ripetuti richiami degli ultimi due pontefici sono stati di una chiarezza cristallina: se Benedetto XVI, nel 2008, aveva auspicato la nascita di una “nuova generazione di cattolici in politica”, Francesco ha più volte ribadito l’esortazione a “immischiarsi” nella cosa pubblica.
Il cambiamento in corso in questi anni, com’era prevedibile, si sta rivelando tutt’altro che indolore. Eppure, in questo travaglio, potrebbero risuonare i vagiti di una (ri)nascita. Come in tutte le crisi, anche in questo frangente, i peggiori daranno del loro peggio ma i migliori daranno del loro meglio; e potranno rendersi protagonisti di una ricostruzione che, però, richiederà alcune coordinate. Una road map, che proveremo a riassumere in tre punti, per quanto sicuramente suscettibili di correttivi e di ampiamenti.