Chiesa italiana in crisi: due episodi da non sottovalutare

Ci sono varie cose che non quadrano nella vicenda di don Tarcisio Colombo e della sua omelia ‘no-vax’. Durante la messa del Te Deum, all’ultimo dell’anno, il parroco di Casorate Primo aveva manifestato le sue perplessità sulla gestione della pandemia e, in particolare, sugli obblighi vaccinali surrettizi attualmente vigenti. Apriti cielo: almeno una ventina di fedeli hanno abbandonato la parrocchia, in segno di dissenso. Intervistato dalla Provincia Pavese, don Colombo, ha precisato la sua posizione: “Nella vita bisogna sapere ascoltare anche chi ha un’opinione diversa dalla propria. Se in questa fase storica si dice qualcosa di diverso sulla pandemia rispetto al sentire comune si viene additati come ‘no vax’”. Si è trattato dell’unica dichiarazione resa alla stampa dal parroco di Casorate Primo. Da quel momento, alla segreteria parrocchiale non risponde più nessuno e il sacerdote è praticamente irreperibile. Non è da escludere che la reprimenda tempestivamente arrivata dall’arcidiocesi di Milano, lo abbia indotto a un ‘profilo basso’.

Un risvolto che lascia oltremodo perplessi in questa querelle ecclesiastica è l’atteggiamento dei fedeli. Non è minimamente in discussione – ci mancherebbe altro – il fatto che i parrocchiani possano avere un’opinione diversa rispetto al loro pastore, tanto più se all’oggetto vi sono questioni non inerenti ai fondamenti della nostra fede. Rimane però un interrogativo: in una località di provincia, dove si presume che i fedeli frequentino sempre la stessa parrocchia e conoscano abbastanza bene il parroco e le sue idee, a cosa sarebbe dovuto quest’atto di protesta così plateale? Davvero sono stati tutti colti così alla sprovvista? O forse, semplicemente, non hanno gradito che un pensiero del genere fosse espresso nel contesto di una messa? L’altra cosa che lascia pensare è la replica dell’arcidiocesi. “Sui vaccini – ha dichiarato il portavoce della Curia milanese – la posizione della Chiesa ambrosiana è chiarissima: tutti i parroci e gli operatori pastorali devono vaccinarsi perché la tutela della salute è importante anche per la cura delle anime e la vicinanza concreta ai fedeli”. L’arcidiocesi ambrosiana fa quindi riferimento agli ambienti parrocchiali, mentre non è da escludere che don Tarcisio (che, in nome della privacy, non ha voluto dire se sia vaccinato o no) si riferisse a una realtà più ampia e a sfondo laicale, con uno sguardo rivolto ai disagi dei lavoratori alle prese con il green pass o alle famiglie con figli in età scolare, che si vedono preclusi la possibilità di fare sport e di avere una vita sociale.

Colpisce l’atteggiamento dogmatico e assertivo della curia milanese su una tematica che, essendo in continua evoluzione (è ormai ammesso anche dai vaccinisti più convinti che le inoculazioni non impediscono di infettarsi e infettare, mentre l’attuale variante Omicron, pur essendo più contagiosa, è giudicata da quasi tutti i virologi meno aggressiva e, nei sintomi, più simile a una comune influenza), meriterebbe un dibattito aperto a tutte le posizioni e basato su criteri scientifici e non fideistici. Oltretutto, l’approccio ‘non allineato’ di don Tarcisio Colombo trova riscontri nelle posizioni di tanti illustri pastori di Santa Romana Chiesa: ex capidicastero come i cardinali Gerard Ludwig Müller e Robert Sarah; vescovi titolari o emeriti delle diocesi italiane, come monsignor Giampaolo Crepaldi e il recentemente scomparso monsignor Luigi Negri; missionari come don Antonello Iapicca.

Rattrista vedere un’opinione pubblica ecclesiale così profondamente spaccata su temi come la pandemia – che, come detto, non dovrebbero intaccare i fondamenti della fede – mentre nessuno ha nulla da obiettare sull’iniziativa assolutamente arbitraria e incomprensibile dell’arcivescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che ha voluto eliminare la figura del padrino dai battesimi e dalle cresime. “Eravamo arrivati al punto che molti padrini e madrine, durante la celebrazione, non facevano neanche la comunione”, ha dichiarato il presule, secondo il quale, l’ufficio di padrino avrebbe “perduto il suo significato originario limitandosi a una presenza liturgica puramente formale”. Un vero schiaffo morale ai tanti padrini e madrine che, nonostante tutto, ancora prendono sul serio il proprio ruolo, per amore dei loro figliocci e della Chiesa.

Quelli avvenuti a Casorate Primo e a Mazara del Vallo sono due fatti tutt’altro che da sottovalutare. Entrambi gli episodi sono sintomi importanti di una Chiesa in profonda crisi d’identità, che si ritrova intrappolata in un paradosso: nel tentativo di liberarsi di formalismi e “rigidità”, sta generando nuovi dogmi e nuovi sottili autoritarismi che però, per quanto possano radicarsi, non potranno mai diventare parte della sua tradizione e della sua essenza viva. Al contrario, rischiano di produrre ulteriori danni e divisioni. Se tuttavia Dio da un male può trarre un bene, anche fatti come quelli riportati non passeranno invano se saranno riusciti a scuotere le coscienze dei fedeli intorno al tema dell’unità della Chiesa e a ciò che realmente la rende grande.