Coronavirus: lo scandalo dei tagli alla sanità e dell’“eutanasia nascosta”
Gli effetti della pandemia da #coronavirus stanno svelando il meglio e il peggio dell’umanità. Se, da un lato, tanti medici e infermieri si stanno sacrificando in modo eroico e la maggior parte dei cittadini sta rimanendo responsabilmente in casa, molti altri continuano ad andare in giro per ragioni non urgenti, creano assembramenti per strada, non rispettano le distanze e rischiano di contagiare altri, denotando idiozia o menefreghismo. D’altra parte, anche la sospensione delle funzioni religiose disposta dal governo e ‘ratificata’ dalla Conferenza Episcopale Italiana, per quanto imperfetta e comprensibilmente dolorosa per molti fedeli, è in fondo una prescrizione dettata dal buon senso e dal realismo cristiano, nonché prevista dal diritto canonico.
Un risvolto davvero inquietante di questa pandemia è invece l’avanzata subdola ma inesorabile della mentalità eugenetica. Ne è la riprova la recente circolare del Ministero della Salute, che determina una rimodulazione delle operazioni chirurgiche, rinviando tutti gli interventi non strettamente urgenti anche quando programmati, tra i quali figurano gli interventi ortopedici, oculistici e, in alcuni casi, quelli oncologici, unitamente a vaccinazioni, prelievi del sangue, esami della vista per la patente e screening di primo livello. È invece incluso nel novero delle urgenze l’aborto, ritenuto rinviabile ma, comunque, da praticare sempre entro il termine della 12° settimana, come previsto dalla legge 194/78. Una decisione che ha suscitato lo sconcerto delle associazioni pro life. “Vogliamo denunciare la discutibile decisione presa dal ministero di far rientrare gli aborti tra le urgenze e di escludere invece altre cure perché mette in luce, meglio di mille parole, la tragica opzione di morte scelta dal nostro Servizio Sanitario Nazionale”, hanno dichiarato Toni Brandi e Jacopo Coghe, rispettivamente presidente e vicepresidente di Pro Vita & Famiglia onlus, che si domandano “a questo punto se sia la cultura di morte che guida la nostra sanità oppure l’urgenza di salvare quante più vite possibile, come tanti medici, infermieri e operatori sanitari stanno facendo egregiamente in queste ore di emergenza”.
Un’altra disposizione che sta facendo molto discutere e che ha avuto molta più eco della precedente è la relazione tecnica della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), che individua delle linee guida in uno scenario di “enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive”. L’emergenza attuale imporrebbe quindi criteri di accesso alle cure intensive basati non soltanto sulla “appropriatezza clinica” e sulla “proporzionalità delle cure”, ma ispirati anche a “un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”. Tenuto conto che “circa un decimo dei pazienti infetti richiede un trattamento intensivo con ventilazione assistita, invasiva o non invasiva”, potrà “rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva”, per quindi “riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone”. Parole che lasciano intendere la chiara opzione per una ‘selezione darwiniana’ all’interno dei reparti: vista la scarsità di attrezzature e di risorse sanitarie, le cure non sono garantite per tutti ma soltanto per i più giovani e per chi ha un margine di sopravvivenza più elevato. Per i pazienti più “anziani”, “fragili” o “con comorbilità severa”, si prospetta una degenza prolungata che, nell’ottica della SIAARTI, rischia di mettere a repentaglio anche la sopravvivenza dei pazienti meno gravi. Uno spaventoso scenario da mors tua, vita mea che, probabilmente, spiega l’impennata dei decessi più o meno direttamente collegati ad infezione da coronavirus (1266 in totale alla giornata di venerdì 13 marzo). Proprio come nei vecchi ospedali da campo, allestiti in tempo di guerra, proprio come negli antichi lazzaretti delle pestilenze, si è costretti a scegliere chi far vivere e chi lasciar morire. Circolano in questi giorni, del resto, storie strazianti di pazienti anziani lasciati morire senza ventilazione e senza il conforto dei loro cari (impossibilitati alle visite per il rischio contagio): un’agonia atroce, tanto più che il malato rimane perfettamente cosciente fino all’ultimo e consapevole del suo imminente decesso.