Cosa ci insegnano le tragiche storie di Seid e di Camilla

Camilla Canepa Seid Visin
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È stata una settimana nera per i giovani italiani. Mentre si attende la lugubre conferma della morte della 18enne pakistana Saman Abbas, probabilmente assassinata dallo zio, con la complicità del padre, tutto il Paese è ancora scosso dalla tragica fine di Seid Visin e di Camilla Canepa.

Nel caso del ventenne etiope adottato da una coppia di Nocera Inferiore, siamo di fronte a un tristissimo caso di false flag. Una lettera del ragazzo risalente a più di due anni fa è stata completamente travisata e strumentalizzata a scopo politico. Anche i genitori lo hanno confermato: la causa del suicidio di Seid non è stato il razzismo ma il prolungato isolamento da lockdown. Dal marzo 2020 a oggi, gli adolescenti che si sono tolti la vita, a seguito delle misure restrittive sono migliaia. Pertanto, fa rabbrividire l’idea che questa terribile realtà debba salire agli onori delle cronache soltanto dopo un colossale equivoco mediatico, sollevato da Roberto Saviano e dai politici lui contigui.

Quanto a Camilla, deceduta per trombosi poco dopo la prima dose di AstraZeneca, la malattia autoimmune di cui la diciottenne di Sestri Levante soffriva, non fa che aggravare il quadro e la dice lunga sulla superficialità e sulla faciloneria con cui è stata portata avanti finora la campagna vaccinale. Indipendentemente dalle etichette di comodo pro vax / no vax, lascia di stucco l’euforia dei giorni scorsi, in concomitanza degli open day vaccinali, contrapposta al clima di paura di questi giorni. La probabile marcia indietro del governo rispetto alla somministrazione di AstraZeneca agli under 60 è un segno della scarsa credibilità della nostra classe dirigente e della comunità medico-scientifica che cambiano idea e direzione ogni tre per due, sulla pelle della gente comune che continua a pagare il prezzo più alto.

Che dire, poi, degli onnipresenti luminari della medicina che ora piangono lacrime di coccodrillo, dopo aver intonato per mesi il mantra del dovere morale di vaccinarsi? Potremmo versare fiumi d’inchiostro riguardo alle reali motivazioni che hanno spinto centinaia di giovani a vaccinarsi in massa, affrontando file interminabili, disagi e assembramenti. Paura della malattia? Senso di responsabilità? Desiderio di ottenere il green pass, per continuare a viaggiare e svagarsi come fino a due anni fa? È davvero squallido vedere il vaccino esaltato come “scelta etica”, quando gli interessi economici sottostanti sono chiari come il sole. Altrimenti non si spiegherebbe la tecnica del bastone e della carota, utilizzata per indurre i giovani all’inoculazione. Ti vaccini e potrai andare in discoteca. Ti vaccini e ti diamo una birra in omaggio. Fino al caso più clamoroso e paradossale capitato nello stato di Washington: ti vaccini e ti diamo cannabis gratuita…

Mandare i giovani “al macello” è una pratica vecchia quanto l’umanità. L’inesperienza alla vita li rende vulnerabili e strumentali alle mosse ambiziose e spregiudicate del potere. Ciò è avvenuto in ogni generazione, con le guerre, fino alle tragiche vette dei due conflitti mondiali. Finché l’amor patrio ha dominato gli ideali giovanili, il ricatto militare ha sempre funzionato. Poi sono venuti gli anni della droga e dell’edonismo di massa. Il benessere generalizzato ha plasmato l’archetipo del giovane-consumatore, cui, di volta in volta, viene promesso il paradiso in terra. Una civiltà dominata dal mercato, però, non concede nulla gratuitamente: il prezzo del consumo di stupefacenti è l’abbrutimento e la morte; il prezzo del divorzio e dell’aborto è l’isolamento affettivo e il rimorso eterno per l’uccisione di un innocente; il prezzo del lavoro facile è il precariato e lo sfruttamento; il prezzo della salvezza dalla pandemia è stato, fino a poco tempo fa, il lockdown e la didattica a distanza. Fino ai casi, pocanzi menzionati, relativi al vaccino AstraZeneca.

Il potere ha sempre gradito giovani passivi, omologati e fatalisti. Salvo, ogni tanto, blandirli e corteggiarli per i suoi scopi di comodo. I ragazzi determinati, intelligenti e dotati di spirito critico, al contrario, sono sempre stati la spina nel fianco di tutti i potenti. In questa dinamica, sempre uguale a se stessa nei secoli, il segno di contraddizione, anch’esso ricorrente in ogni epoca, è rappresentato dai santi e, in particolare dai santi educatori. San Giovanni Paolo II, don Luigi Giussani e, prima di loro, San Giovanni Bosco, San Giovanni Battista de la Salle, San Giuseppe Calasanzio, San Filippo Neri, sono tutti accomunati da una caratteristica: hanno amato così tanto i giovani da accendere in loro il più grande desiderio, ovvero quella libertà che solo Cristo può dare. Gesù stesso, tra i suoi Dodici, scelse in larga parte persone giovani e “il discepolo che egli amava”, Giovanni, era il più giovane tra questi. In tutta la Sacra Scrittura è ricorrente la figura del giovane alleato di Dio e in lotta per la libertà: si pensi a Giuseppe venduto al Faraone d’Egitto (Gen 37-50), a Davide contrapposto a Golia (1Sam 17), a Susanna contrapposta ai “vecchioni” (Dan 13) o ai tre giovinetti nella fornace ardente (Dan 3). La mentalità umana è propensa a sacrificare il giovane, Dio, al contrario, vuole sempre salvarlo, come ha fatto con Isacco (Gen 22,1-18). È anche per questo che il potere ama alla follia gli idoli e i falsi dei ma ha così tanto terrore del vero Dio e della tanto bistrattata civiltà giudaico-cristiana, che Lui ha ispirato.