Cristiani perseguitati: la lezione del Nicaragua

Vescovo Alvarez arrestato in Nicaragua
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La persecuzione dei cristiani al giorno d’oggi non riguarda soltanto l’Asia, il Medio Oriente o l’Africa. Anche in America Latina, in alcuni Paesi, si registrano evidenti discriminazioni a sfondo religioso. La situazione più drammatica, destinata ormai a precipitare, è sicuramente quella del Nicaragua, che su Cristiani Today avevamo denunciato in tempi non sospetti. Alle prime repressioni del 2018, è seguita un’escalation di arresti ed espulsioni che hanno coinvolto in modo particolare sacerdoti, vescovi e religiosi.

Già nell’estate 2020, un uomo incappucciato si era introdotto nella cattedrale dell’Immacolata Concezione a Managua, dando fuoco a un crocefisso del XVII secolo, molto venerato dai nicaraguensi. Dall’inizio di quest’anno, però, le aggressioni anti-cattoliche nel Paese centroamericano hanno preso una piega incontrollabile.

A gennaio, il governo di Daniel Ortega ha confiscato i beni che Taiwan aveva donato alla chiesa nicaraguense, per consegnarli alla Cina, che da anni spalleggia la dittatura sandinista. A marzo, è stato espulso il nunzio apostolico Waldermar Stanslaw Sommertag, che in precedenza aveva denunciato le ripetute intimidazioni della dittatura contro il clero nicaraguense. In seguito, è stato il turno delle Missionarie della Carità: le suore dell’ordine fondato da Santa Teresa di Calcutta sono state dichiarate fuori legge e addirittura accusate di infrangere la legge anti-terrorismo.

La vicenda più eclatante, tuttavia, rimane quella di monsignor Rolando José Álvarez Lagos, vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelì. Il presule è stato prelevato dal suo vescovado e arrestato lo scorso 19 agosto, dopo un assedio di due settimane, durante le quali la polizia aveva costantemente circondato e piantonato l’edificio intimando monsignor Álvarez e i suoi più stretti collaboratori di non mettervi piede fuori. Il vescovo di Matagalpa, come altri leader religiosi, è accusato dal regime di aver commesso “atti d’odio” e di “destabilizzare” il Paese, per il solo fatto di aver criticato le politiche governative.

In un’intervista a Tempi, padre Uriel Vallejos, sacerdote della diocesi di Matagalpa, ha raccontato: “Ho dovuto cambiare la mia auto, quando esco uso le vetture di altri a causa della persecuzione, delle minacce e dell’assedio contro la mia persona”. Il presbitero ha illustrato la situazione generale nel Paese, fortemente provato dalla pandemia, dalla disoccupazione e dalla conseguente emigrazione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il taglio delle pensioni e di altre misure di welfare, disposte peraltro da un governo che, a parole, si ispira alla lotta di classe marxista e ai diritti dei lavoratori. La popolazione, sostenuta dalla chiesa locale, si è ribellata e la repressione è stata sanguinosa, con centinaia di morti e migliaia di feriti.

Il disastroso scenario nicaraguense è stato denunciato a più riprese da varie autorità civili ed ecclesiastiche. 26 ex capi di stato e di governo di Paesi ispanici, tra cui l’ex premier spagnolo José Maria Aznar, Vincente Calderon e Mauricio Macrì, rispettivamente ex presidenti di Messico e Argentina, hanno lanciato un appello a difesa della libertà religiosa in Nicaragua. Il documento si rivolge direttamente a papa Francesco che, durante l’Angelus di domenica scorsa, ha espresso “preoccupazione” e “dolore”, auspicando che “per mezzo di un dialogo aperto e sincero si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica”.

Prima ancora di questo intervento del Papa, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Matteo Maria Zuppi, aveva manifestato “sgomento e incredulità”, esprimendo solidarietà al vescovo Álvarez e ai suoi pastori, per le “dure persecuzioni” subite “motivo della fedeltà al Vangelo della giustizia e della pace”. Persino il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, generalmente tiepido riguardo alla libertà religiosa, si è detto “molto preoccupato per la grave ostruzione dello spazio democratico e civico in Nicaragua e per le recenti azioni contro le organizzazioni della società civile, comprese quelle della Chiesa cattolica”.

Il presidente Ortega non ha mai negato di avere in odio il cattolicesimo e, in particolare, il clero. “Sono i Giuda e sono i Caini, sono quelli che alla fine hanno celebrato il martirio di Cristo. Sono loro che alla fine hanno dato il bacio di Giuda”, ha dichiarato di recente il dittatore nicaraguense con riferimento ai sacerdoti che lo criticano. Un rancore che viene da molto lontano. Alla fine degli anni ’70, infatti, durante la guerriglia che aveva portato al potere il primo governo sandinista, l’episcopato locale aveva ingenuamente appoggiato il nuovo corso, probabilmente sulla scia della Teologia della Liberazione e di altri gruppi rivoluzionari che strumentalizzavano il Vangelo al fine della lotta di classe. Nel corso del pontificato di San Giovanni Paolo II, che, durante la sua visita pastorale del 1983, affrontò a viso aperto il regime sandinista, la chiesa nicaraguense se n’è progressivamente distaccata, favorendo così il regime change nel 1990. Ortega, tornato al potere nel 2006 dopo un primo mandato (1985-1990) e poi rieletto più volte, si è legato al dito questo “voltafaccia”.

La piega che stanno prendendo le cose in Nicaragua ci mostra che non ovunque i cattolici sono disposti a venire calpestati o a tacere davanti all’iniquità. Monsignor Silvio José Báez, vescovo ausiliare di Managua, da anni in esilio a Miami, in una recente omelia ha affermato: “Non si ingannino i malvagi, non si ingannino coloro che vogliono far tacere la loro voce. La Chiesa non vive nella paura, non si inginocchia davanti ai potenti”. L’episcopato e il clero nicaraguense stanno mostrando una mitezza e, al contempo, una determinazione incredibili; come San Giovanni Battista a Erode, hanno semplicemente detto: “Non ti è lecito” (Mt 14,4).

I vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici del Nicaragua hanno replicato alle atroci violenze del loro governo con la sola forza della verità e della carità che possono barcollare di fronte al male ma, alla fine, sono destinate a trionfare, anche a costo del martirio. Non è scontato e non ovunque è così. In tal senso, il Nicaragua offre una favolosa testimonianza alla Chiesa universale.