Il dilemma delle scelte? Per un cristiano è meno drammatico…

È la tipica situazione / nei momenti tipici / troppe scelte”. Così cantava Typical Situation, un motivo della mia gioventù. Una canzone leggera e ironica ma tutt’altro che superficiale, di cui con gli anni, ho compreso il senso profondo. Il testo di Dave Matthews, aggiungeva con sarcasmo: “Tutti sono felici / tutti sono liberi / Terremo aperta la grande porta / E tutti verranno / Perché sei diverso? / Perché sei così? / Se non ti allinei / Ti chiuderemo fuori”. La morale di questo testo? C’è talmente tanta libertà a questo mondo, che scegliere diventa qualcosa di amletico, quasi angoscioso, che rischia di portare all’alienazione e all’emarginazione. Nonostante la società consumistica dia l’illusione porre tutto (come merce, però!) alla portata di tutti, nella realtà dei fatti, optare per un bene, costringe, per forza di cose, a rinunciare a tanti altri beni, producendo nell’animo un mix di rimorsi, rimpianti, incertezze e dubbi eterni.

È qui che si gioca la distinzione tra la libertà cristiana e la libertà del mondo secolarizzato e materialista: nella seconda delle due concezioni, non solo ogni scelta è permessa ma ogni scelta, moralmente parlando, vale quanto le altre. In base a questo criterio, ogni strada che avremo intrapreso potrà essere senza remore rinnegata, ripercorsa al contrario o, più semplicemente, abbandonata. In più, l’opulenza diffusasi in Occidente negli ultimi 50-60 anni ha generato quella “dittatura del desiderio” per la quale, tutto si può ottenere senza sforzo, né sacrificio perché tutto si può comprare e tutto è in vendita.

Con il risultato che, anche le decisioni cruciali della nostra vita non hanno più alcun carattere di “definitivo”, né sono il frutto di alcuna vocazione, ma solamente delle pulsioni o delle utilità del momento. Punto di non ritorno di questo tipo di mentalità è la tanto discussa (sebbene da alcuni negata…) teoria del gender: attraverso la chirurgia estetica e le cure ormonali, non solo puoi scegliere di diventare donna se sei uomo e viceversa ma puoi anche optare di cambiare sesso solo anagraficamente, preservando le tue caratteristiche biologiche native: il tutto sulla base di una mera scelta personale, in cui il parere degli altri non avrà alcuna voce in capitolo. Potrai anche scegliere di essere uomo per un tale tempo della tua vita, per poi essere donna per un altro periodo indeterminato, tornando poi all’identità maschile senza alcuna soluzione di continuità. Oppure, come ha stabilito qualche anno fa la Corte Costituzionale tedesca, potrai scegliere anche un’identità sessuale neutra, vergando sui tuoi documenti d’identità: maschio, femmina… o X.

Il paradosso “estremo” ed inquietante del gender, tuttavia, non è così slegato da altre problematicità più comuni in cui sono immerse le attuali generazioni, prima tra tutte quella del precariato lavorativo e affettivo. L’assenza di qualunque prospettiva di futuro costringe molti dei nostri giovani a rinunciare alle attività che avevano sempre sognato e che rispondevano ai loro reali talenti, costringendoli a lavori che non amano e che, soprattutto, non hanno nulla a che fare con la loro vera vocazione professionale. Cosicché, dovranno accontentarsi di qualche “ripiego”, costretti in molti casi a una triste peregrinazione da un posto di lavoro all’altro, che, oltretutto, inciderà negativamente sulla loro autostima, riportando a galla i rimpianti o i rimorsi, nell’eterna giostra delle scelte.

Perché, allora, come si accennava prima, la prospettiva cristiana è diversa? Per il semplice fatto che per il cristiano non superficiale e rettamente formato, il compimento di una scelta è assai meno problematico. In primo luogo, perché egli, non per suo merito ma per grazia di Dio, sa distinguere tra bene e male e ciò, già di per sé, semplifica notevolmente la sua azione. Non meno importante è, tuttavia, una sana e costruttiva introspezione, ai fini della quale la direzione spirituale può essere un mezzo efficacissimo. Conoscendo se stessi, non solo si può fare un salto di qualità scegliendo tra il bene e il meglio (cfr. editoriale Santo? Puoi esserlo anche tu!), ma si può andare ancora oltre, individuando la propria vocazione, la strada che Dio sceglie per il nostro massimo bene, non solo ai fini della salvezza eterna ma per la nostra felicità, già su questa terra.

Certamente, l’individuazione della propria vocazione non sarà mai un percorso del tutto indolore e quasi sempre comporterà delle rinunce anche a cose buone e legittime: si pensi alle tante coppie di futuri sposi, in cui lui o lei sacrifica un posto di lavoro sicuro in una determinata città per stare più vicino alla sua nuova famiglia. La scelta come risposta a una vocazione può avvenire anche in ambito professionale: emblematico è l’esempio dell’insegnante o del medico, mestieri in cui la dedizione agli altri e l’empatia richieste sono, in certi casi, inversamente proporzionali alla remunerazione o, in altri casi, a una “vita comoda” e scevra di imprevisti. Eppure tantissime persone optano con gioia e senza paura per queste attività.

Per aiutare giovani e meno giovani a compiere le scelte giuste, tuttavia, non bastano né la fede pura e semplice, né tantomeno la buona volontà. Servono innanzitutto testimoni e maestri di vita, capaci di farti di innamorare della realtà, delle persone e di Dio. Sta a noi essere abbastanza attenti e lungimiranti nel cercare questi mirabili compagni di strada e nell’affiancarci a loro.