Intervista a Don Andrea Ciucci, sul suo ultimo libro scritto insieme a Don Paolo Sartor per l’edizioni San Paolo “Nutrire l’anima” 50 ricette di pellegrini e viaggiatori, un viaggio itinerante ricco di esplorazione e di sapori che fanno bene all’anima e al palato.
DON ANDREA è presbitero della diocesi di Milano, da più di 25 anni si occupa di catechesi, pastorale familiare, pastorale giovanile e scoutismo. Attualmente vive a Roma e lavora alla Pontificia Accademia per la Vita. Insegna “Sociologia e pastorale della famiglia” all’ISSR (Istituto superiore di scienze religiose) di Firenze. Si diletta di gastronomia, con risultati discreti in cucina e in libreria (Cibo che parla EDB 2015, e i libri A tavola con Abramo, In cucina con i santi, Mangiare da Dio, scritti con Paolo Sartor e pubblicati dalle Edizioni San Paolo).
Com’è nata l’idea di scrivere un libro in cui si lega il rapporto tra pellegrini e cibo?
Il libro “Nutrire l’anima” è nato come quarto di una serie, dove man mano abbiamo provato a raccontare la fede cristiana a partire dal cibo. L’idea è nata con il primo libro che era legato alle ricette della Bibbia “A tavola con Abramo”. Ci siamo resi conto che nella Bibbia, poiché viene raccontata la storia dell’amicizia tra Dio e gli uomini, c’è una vera e propria storia e molte delle storie si costruiscono a tavola.
Se proviamo a leggere la Bibbia, dal punto di vista gastronomico, scopriamo in realtà una serie non banale di avvenimenti e di ricette. Fra l’altro Gesù stesso, tra le cose più belle che ha fatto … notiamo che le ha proprio fatte a tavola.
Tutto è nato come uno scherzo ma da lì abbiamo provato a raccontare alcune cose più serie della vita, come le grandi domande, le questioni fondamentali, i gesti di Dio, i grandi momenti della storia, a partire da un argomento sfizioso e saporito come quello della gastronomia.
Così è nato il libro sulle ricette dei santi e il libro delle 50 ricette dei pellegrini e viaggiatori.
Dove troviamo il collegamento nella Bibbia con il cibo?
Lo troviamo ovunque, in ogni pagina perché la Bibbia non è un trattato di teologia è una storia e le storie si fanno anche a tavola, se ci pensiamo tutto parte dal “frutto” del bene e del male che diventa troppo desiderabile agli occhi di Adamo ed Eva, al punto di essere mangiato e finisce con il raccolto dei frutti dell’albero, ogni mese nell’apocalisse avviene un raccolto.
Se guardiamo Gesù, il primo miracolo lo fa durante un pranzo al ristorante, cambiando l’acqua in vino e quando Gesù deve fare qualcosa di significativo per i suoi discepoli, lo fa durante una cena dicendogli che se gli apostoli vogliono ricordarsi di Lui, devono continuare a mangiare il pane e a bere il vino.
Quando vuole farsi riconoscere dai suoi amici, sul lago da risorto, gli dice di pescare e di preparare una grigliata di pesce. Quando Dio decide di raccontare come era fatta la “Terra Promessa” a quarant’anni, ad un popolo … gliene parla come la terra dei sette sapori, del latte e del miele.
In queste pagine di “Nutrire l’anima” lei e Don Paolo Sartor avete raccolto delle ricette medievali che venivano proposte ai pellegrini che percorrevano chilometri verso la Terra Santa, Santiago di Compostela ecc…
Qual è una delle ricette più famose, che può raccontarci?
Sicuramente l’empanada gallega l’avranno assaggiata tutti coloro che avranno percorso il Cammino di Santiago, è una vera e propria ricetta medievale spagnola. Si tratta di una torta salata, ripiena e farcita di pomodoro, tonno sott’olio e cipolla. E’ un classico dell’epoca medievale!
Per esempio nel libro “In cucina con i santi” uscito nel 2013, ci sono ricette curiose che parlano ad esempio del ragù di Padre Pio, le tre polente di Papa Giovanni, la crostata di santa Teresina. Come siete venuti a conoscenza di queste ricette utilizzate dai grandi santi?
Ogni libro nasce con mesi e mesi di lettura e di ricerche sul campo. Una cosa che abbiamo tenuto a fare è quella di mettere nei libri, tutte le ricette storicamente fondate, non sono semplicemente evocative ma fanno riferimento a degli episodi specifici.
Le ricette che abbiamo voluto proporre sono presentate in un modo tale che si possano elaborare nello stesso modo in cui all’epoca venivano esattamente cucinati, con gli stessi ingredienti e gli stessi modi.
E’ un modo per andare esattamente alla concretezza di questa vita che appartiene agli uomini e alle donne (ovvero i santi) e scoprirne la loro veridicità e l’incontro con il Signore.
Dio s’incarna nella storia, nelle persone concrete anche nella loro cucina.
E’ curioso ad esempio immaginare di mangiare il ragù di Padre Pio. Qual era la sua ricetta?
Un classico ragù pugliese, quindi ricchezza nelle varietà di carni macinate, pomodoro e cipolla, il tutto fatto rosolare per un paio d’ore.
La cosa interessante della storia è che questo ragù così bello, sontuoso e ricco come lo è tutta la cucina pugliese e di cui ne viene fatto dono, viene condiviso da Padre Pio che non lo tiene per se.
Questo è uno dei tratti caratteristici del cibo e dell’esperienza cristiana.
La tavola solitamente viene vista come un momento di condivisione, di accoglienza e di dialogo. Può essere anche un modo per evangelizzare?
L’evangelizzazione non si fa con dei metodi strani o chissà con quale metodo complesso. Il nucleo dell’evangelizzazione è la vita di un discepolo del Signore che parla. La vita è la testimonianza che si dà nell’esperienza concreta e quotidiana.
Anche da come si sta a tavola, da chi si decide di avere come commensali (ad esempio pensiamo a Gesù che sceglie di mangiare a tavola con i peccatori) da queste cose se uno vive nella sequela del Signore, da questo traspare in lui anche chi lo guarda e chi condivide con lui il pasto.
Se leggiamo il Vangelo vediamo che i detrattori di Gesù parlavano di lui come un mangione e un beone, solo perché condivideva la tavola con gli altri (compreso i peccatori). E’ vero che mangiava ma digiunava tanto, il problema non è infatti assolutizzare una cosa e l’altra ma dare ad ogni esperienza dell’umano, il giusto senso e la giusta dimensione.
Gesù amava mangiare e stare con la gente, la tavola era uno di questi luoghi ma ricordava a se stesso e a tutti gli altri che “non di solo pane vive l’uomo” e infatti faceva anche 40 giorni di digiuno nel deserto.
Lei stando a contatto con i giovani, pensa che per arricchire la loro conoscenza di Dio, sia utile proporre loro attività che sviluppino la fantasia, la creatività, la condivisione come ad esempio potrebbe essere la “cucina”?
La cucina va bene ma anche ogni altra cosa, ripeto che non esiste un linguaggio che è alieno al mistero di Dio. Se uno vive in pienezza ed umanità, ogni esperienza umana come la cucina, lo sport, andare in montagna, il costruire qualunque cosa … diventa in qualche modo capace di dire la bellezza dell’umano. Altrimenti se non c’è tutto questo neanche la predica più teologica è capace di trasmettere la bellezza del Vangelo.
Qual è la sua ricetta “santa” preferita e quale consiglierebbe ai nostri amici?
La mia ricetta santa preferita è quella che mi ha stupito di più quando l’ho provata a farla.
Nell’ultimo libro abbiamo provato ad affrontare non soltanto il pellegrinaggio cristiano ma anche quello delle altre religioni. Infatti siamo andati a cercare qual è uno dei piatti tipici che mangiano i musulmani quando vanno in pellegrinaggio alla Mecca e abbiamo trovato questa ricetta: una zuppa di ceci (molto simile a quella che facciamo noi) ma loro in Arabia Saudita, un posto estremamente caldo … a questa ricetta aggiungono all’ultimo minuto, prima di servire il piatto, una spremuta di limone fresco. Ed infine decorano il piatto con una fettina di limone.
Servizio di Rita Sberna