Elogio del silenzio, della compostezza e della discrezione… nell’era dei social

Chiesa coppia giovani
Foto: CC0 Pixabay

Un principio che era stato osannato e pompato ossessivamente negli ultimi trent’anni e che oggi, improvvisamente, è finito nel dimenticatoio, quando non guardato con truce sospetto, è sicuramente quello della privacy. In epoca di Super Green Pass è venuto meno il tabù dei “dati sensibili”: conoscere il tuo stato di salute è un diritto di tutti e, se ti appelli alla riservatezza, nella migliore delle ipotesi, sei considerato un sovversivo e un untore.

Non sono soltanto gli stati fisici delle persone ad essere diventati patrimonio pubblico condiviso. Anche gli stati dell’anima vanno esternati e manifestati urbi et orbi, pena l’irrilevanza sociale e lo stigma di ‘persona incolore’. Il ruolo devastante dei social media in questa evoluzione-involuzione sociologica è facilmente intuibile ma anche la vita reale mostra i segni evidenti di un cambiamento. “In un mondo in cui spesso lo sfoggio disinibito delle emozioni è acclamato dalle persone più influenti in ambito culturale, la riservatezza e l’intimità sono altrettanto spesso oggetto di sfiducia”, scrive il sociologo ungaro-canadese Frank Furedi, nel suo saggio I confini contano. Perché l’umanità deve riscoprire l’arte di tracciare frontiere (Meltemi editore, 2021). “Pertanto lo sforzo di autocontrollo – prosegue Furedi – è descritto spesso come un tentativo disonesto di coprire vari deficit emotivi; una patologia che nega l’io reale di una persona e intensifica le emozioni negative e distruttive”. L’autocontrollo, un tempo visto come segno di “forza d’animo” e di “contegno” viene oggi ridicolizzato quale “sintomo di analfabetismo emotivo” e non più indicato come “modello di sopportazione di delusioni e dolori”.

La discrezione, anche a livello emozionale ed affettivo, viene vista come caratteristica penalizzante sul piano sociale. La persona riservata e sobria viene etichettata subito come perdente oppure alimenta necessariamente dei sospetti. Non hai espresso la tua opinione sul fatto del giorno? L’episodio di cronaca che ha fatto commuovere e/o indignare migliaia di persone non ti ha fatto né caldo, né freddo? L’ennesimo decreto-legge non ti ha suscitato alcun commento sui social e nemmeno un “mi piace”? Puoi considerarti escluso dalla comunità dei viventi. Tutto deve essere urlato, enfatizzato, nel bene o nel male. Odio o amore senza mezze misure ma in nome di cosa? Di un ideale o, piuttosto, del nostro ego?

Colpiscono decisamente le considerazioni di Furedi, tanto più se accostate alla descrizione di San Giuseppe, fatta da papa Francesco durante l’ultima Udienza Generale. “I Vangeli non ci riportano nessuna parola di Giuseppe di Nazaret, niente, non ha mai parlato – ha detto il Pontefice mercoledì scorso –. Ciò non significa che egli fosse taciturno, no, c’è un motivo più profondo. […] Il silenzio di Giuseppe non è mutismo; è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio operoso, un silenzio che fa emergere la sua grande interiorità”. Il silenzio non è assenza di parole ma è la lingua universale con cui si parla con Dio. “È importante pensare al silenzio in quest’epoca che esso non sembra abbia tanto valore”, ha aggiunto il Papa.

Anche la Vergine Maria, sposa di Giuseppe, è emblema di discrezione, di umiltà, di nascondimento. Quando i pastori giungono a Betlemme e manifestano tutto il loro stupore per la vista del Bambino, Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Gesù stesso, poi, prende esempio da sua madre e dal padre putativo, quando cerca spazi di silenzio per il suo dialogo con il Padre celeste (cfr Mt 14,23). L’insegnamento evangelico individua in modo molto chiaro le circostanze in cui è necessario autocontrollarsi e moderare le parole, anche quando il cuore sembra esplodere di rabbia: “Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,22). Il silenzio di Gesù spicca, infine, all’apice della sua drammaticità, davanti a Pilato che, poco prima di flagellarlo, gli domanda: “Cos’è la verità?” (Gv 18,38).

Beninteso, il Vangelo non insegna a reprimere emozioni o sentimenti. Del resto, Gesù ha un epocale impeto d’ira nei confronti dei mercanti del Tempio (cfr Mt 21,12-17; Mc 11,15-19; Lc 19,45-48) e piange in almeno due occasioni: alla morte dell’amico Lazzaro (cfr Gv 11,32-36) e contemplando la perdizione di Gerusalemme (cfr Lc 19,41-42). Ci sono però un contegno, una discrezione, un’umiltà, una dignità che non andrebbero mai perduti, in particolare – e questo è l’ostacolo più difficile da superare – quando si subiscono ingiustizie. Contemplare in questi giorni nel presepe, con raccoglimento, il senso della piccolezza dell’umano davanti al Sacro che si manifesta, sarebbe già un buon punto di partenza.