Francia, Cile, Polonia: la violenza è il frutto dell’eclissi di Dio

Chiesa vandalizzata in Polonia
Foto: CC0 Niedziela [https://www.niedziela.pl/artykul/60180/Feministki-niszcza-fasady-kosciolow-i?fbclid=IwAR2WjcaMKXRx3C2E9gMXGGjiiEWB-4gjchRE2hVV0eQZIkO5Z4zZexbCiAc]

Lo scorso 16 ottobre, vicino Parigi, un insegnante di liceo, Samuel Paty, è stato decapitato per strada da un estremista musulmano. La colpa: aver mostrato ai suoi alunni le famigerate vignette blasfeme contro Maometto di Charlie Hebdo. Giovedì scorso, con la Francia ancora sotto choc, un tunisino ha fatto irruzione nella cattedrale di Nizza, uccidendo tre fedeli, due dei quali sgozzati. Intanto, il 18 ottobre, a Santiago del Cile, due importanti chiese erano state date alle fiamme da giovani manifestanti contro l’austerity nel paese latino-americano. Infine, domenica scorsa, a Varsavia e in altre città polacche, gruppi di manifestanti hanno imbrattato diverse chiese (foto), irrompendo durante le messe e gridando slogan ingiuriosi e blasfemi, per protestare contro la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha proclamato illegale l’aborto quando motivato da malformazioni del feto o altre ragioni eugenetiche.

Cosa hanno in comune questi tre inquietanti fatti accaduti al di là e al di qua dell’Atlantico? Innanzitutto – ahimè – lo sfondo religioso. Proprio al culmine di una fase storica in cui, non solo il dialogo interreligioso sembrerebbe aver fatto passi da gigante, ma anche il ruolo stesso delle religioni viene sempre più concepito dai loro leader come uno strumento di pace tra i popoli, ai margini di tale processo, il mondo pare andare in tutt’altra direzione e le appartenenze confessionali continuano a rappresentare un elemento di discordia quando non addirittura di violenza.

Partiamo dal caso francese: non è certo la prima volta che il fondamentalismo islamico semina il terrore nel paese transalpino. A farne le spese, dal 2015 a oggi, sono state tipologie di vittime molto diverse tra loro: la folla innocente, come nel caso degli attentati di Parigi (13 novembre 2015) e di Nizza (14 luglio 2016 e 29 ottobre 2020); i ministri del culto di religioni non islamiche, come padre Jacques Hamel (26 luglio 2016), ma non va dimenticato il rabbino ucciso alcuni anni prima a Tolosa (19 marzo 2012); persone che hanno offeso la sensibilità dei fedeli musulmani attraverso vignette, come è avvenuto sulla rivista Charlie Hebdo (7 gennaio 2015; 25 settembre 2020), oppure hanno utilizzato quelle stesse opere satiriche in un modo che è stato pesantemente equivocato, come il menzionato professore. La Francia è notoriamente il paese europeo in cui l’immigrazione islamica è più radicata (i musulmani sono ormai il 10% della popolazione) ma è anche il paese in cui la ghettizzazione di queste minoranze ha portato ai risultati più disastrosi in termini di mancata integrazione e radicalizzazione. È lo scotto da pagare per un paese che, da più di due secoli, si ostina a cancellare o ignorare ogni traccia di trascendenza o di sacro, in nome di un malinteso concetto di laicità. Bisogna riconoscere alle élite politiche e culturali francesi una testarda coerenza nel gettare sotto al tappeto la polvere di qualunque forma di religiosità, percepita sempre come il classico granello in grado di inceppare la perfetta e infallibile macchina del progresso, ça va sans dire ateo e materialista.

Mentre il cristianesimo, ormai da decenni, non ha più mordente, quindi non rappresenta più un “pericolo” per il pensiero unico laicista, con l’Islam provare a parlare un linguaggio unificante e neutrale si è rivelato un fallimento: si pensi, ad esempio, alla controversa legge che, alla fine degli anni ’90, vietò il chador alle studentesse musulmane. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: la gioventù emarginata, incompresa e alienata ha iniziato a provare ribrezzo per il nichilismo materialista e ha trovato una ragion d’essere nell’Islam radicale. Nel giro di un paio di decenni, il fenomeno si è allargato a macchia d’olio e – come si è tristemente visto nelle vicende del professor Paty e della strage nella cattedrale nizzarda – è attecchito proprio in quelle scuole statali, dove da due secoli, gli studenti vengono catechizzati al credo laicista, retaggio del secolo dei Lumi e della Rivoluzione.

Diverso ma non senza qualche analogia, è il caso cileno. Il disagio, in questo caso, non nasce dalla mancata integrazione tra culture diverse ma dall’involuzione di un sistema economico sempre più competitivo, che produce sempre più emarginazione sociale. Per “festeggiare” il primo anniversario delle manifestazioni che, il 18 ottobre 2019, avevano contestato l’aumento del prezzo della metropolitana a Santiago, l’ala più estrema e intransigente del movimento si è data al vandalismo contro edifici e spazi pubblici, saccheggiando negozi e dando fuoco a due chiese: San Francisco de Borja e La Asuncion, quest’ultima completamente distrutta dopo il crollo del campanile. Fatti che, nelle dinamiche, ricordano molto quanto accaduto nei mesi scorsi negli USA, ad opera di movimenti anti-razzisti o sedicenti tali. In queste intemerate aggressioni, può avere avuto il suo peso la grossa crisi di credibilità che sta attraversando la Chiesa Cattolica in Cile, soprattutto a causa degli scandali degli abusi sessuali da parte del clero e delle relative coperture dell’episcopato. Una Chiesa che non dà il buon esempio, indubbiamente, diventa più vulnerabile ai suoi nemici.

Nel caso francese, ci troviamo di fronte a un uso strumentale di una religione, quella musulmana, in uno scenario di eclissi del cristianesimo e del suo sistema di valori. Se la Francia oggi fosse ancora cristiana e le comunità cattoliche avessero maggiore peso e incisività, l’Islam avrebbe un termine di confronto più stimolante e lavorerebbe molto più sullo sviluppo costruttivo della propria identità, piuttosto che aggredire e annichilire le altre culture. Nel caso cileno, ci troviamo di fronte a dinamiche in parte simili: la contestazione di un sistema economico oppressivo e poco solidale, di per sé, può avere anche dei risvolti nobili ed essere animata da un sano desiderio di cambiare il mondo. Se però questa rabbia non si apre ad un orizzonte di speranza e di vera apertura all’altro, diventa fine a se stessa e, inevitabilmente, si rivela distruttiva. Parafrasando Montale, potremmo dire che è la rabbia per “ciò che non siamo” e per “ciò che non vogliamo”, senza punti fermi esterni e nessuna certezza sulla propria identità interiore. Gli episodi capitati in Polonia, invece, sono espressione di una minoranza di facinorosi, in combutta con i poteri forti e con la massoneria internazionale, che non si rassegna alla resistenza di un popolo che – in controtendenza con il resto d’Europa – ha eroicamente resistito a decenni di persecuzioni anticristiane e che ha fatto della sua cattolicità un elemento fondante e identificativo.

Drammi come quelli dei giorni scorsi sono, quindi, in definitiva, il risultato di un’umanità senza Dio, dove le religioni sopravvivono come scatole vuote, utili nient’altro che a dissimulare il culto del proprio io e la brama dell’affermazione di sé stessi. Il Vangelo e l’Eucaristia, però, ci insegnano qualcosa di molto diverso: l’uomo non è solo al mondo ma, soprattutto, l’altro non è per lui un problema bensì un tesoro prezioso che lo aiuta a diventare pienamente uomo. Se l’altro per me è un fratello, però, potrà esserlo esclusivamente in ragione di un Padre comune, buono e misericordioso, che vuole soltanto il bene dei suoi figli.