È davvero un momento drammatico e indecifrabile per la Chiesa. Tanti eventi si stanno susseguendo con una rapidità tale da rendere impossibile una valutazione razionale e distaccata. Verso la fine dell’anno scorso abbiamo visto il declino della salute di papa Francesco, che ha ormai espresso a chiare lettere la possibilità di una rinuncia al pontificato, analoga a quella del suo predecessore. È seguita, proprio l’ultimo giorno del 2022, nell’ottava di Natale, la morte del papa emerito Benedetto XVI, con il bagno di folla ai suoi funerali, le controverse dichiarazioni del suo segretario, monsignor Georg Gainswein, e la brusca riemersione delle dicotomie tra le due sensibilità ecclesiali espresse dalle figure dei due pontefici, nel contesto dell’inevitabile fine di un’epoca. Dopo l’Epifania, abbiamo assistito alla riapertura del fascicolo giudiziario sul caso di Emanuela Orlandi, proprio nell’anno del quarantennale della sua misteriosa scomparsa. Martedì scorso, un nuovo evento funesto: l’improvvisa scomparsa dell’81enne cardinale George Pell, già prefetto della Segreteria per l’Economia in Vaticano e arcivescovo emerito di Sydney.
Pell è stato una figura tutt’altro che di secondo piano nella Chiesa in questo primo scorcio di XXI secolo. Il porporato australiano ha incarnato uno stile pastorale particolarmente “robusto”, di orientamento conservatore, giudicato spesso in contrasto con la linea dell’attuale pontificato. Eppure, fu proprio papa Francesco a chiamarlo a Roma come membro del comitato dei nove cardinali per la riforma della Curia, ma, soprattutto, per gestire il delicatissimo incarico di “pulizia” delle tanto discusse finanze vaticane. Per un compito del genere, serviva un “mastino” poco incline alle mediazioni e Pell, col suo fisico imponente da ex rugbista, era uno che metteva facilmente soggezione. Chiunque abbia lavorato a stretto contatto con il porporato australiano ha toccato con mano la ruvidità del suo temperamento, apparentemente più propenso alla giustizia che alla misericordia.
Pell aveva il pregio (o il difetto, a seconda dei punti di vista) di dire sempre quello che pensava e questo indubbiamente gli procurò parecchi nemici. La sua onestà intellettuale era tale da fargli affermare cose sorprendenti e spiazzanti. Come quando, in occasione dello scandalo che nel 2020 coinvolse il cardinale Angelo Becciu (con il quale, pure, non correva buon sangue), l’ex prefetto dell’Economia giudicò eccessivamente aggressiva l’inchiesta nei confronti del porporato sardo. Pell era considerato un ratzingeriano di ferro, eppure criticò la scelta abdicativa di Benedetto XVI, il quale, comunque, gli fu fraternamente vicino nel momento drammatico del processo e della prigionia.
Il cardinale George Pell è stato infatti protagonista del più clamoroso caso giudiziario che abbia mai posto sotto imputazione un alto prelato. Tra il 2017 e il 2020, assieme all’arcivescovo emerito di Sydney è finita sotto accusa la Chiesa tutta. Le infamanti accuse di aver violentato due chierichetti tredicenni nella canonica della cattedrale, nel 1996, quando era arcivescovo di Melbourne, costarono a Pell una carcerazione durata 404 lunghissimi giorni, in due penitenziari di massima sicurezza a Melbourne e a Barwon, a cavallo tra il 2018 e il 2019. Un anno abbondante che ha cambiato per sempre la vita e il cuore del cardinale australiano. Alla sentenza di condanna del 2018, seguì, nell’aprile 2020, l’agognata assoluzione da parte della Corte Suprema australiana.
Il cardinale Pell si è sempre proclamato innocente, eppure, lui che di temperamento non era certo docile, ha accettato con grande decoro e sorprendente mitezza il “martirio bianco” che gli è stato inflitto. È stato un uomo scomodo sotto molti punti di vista e forse ha avuto più avversari che amici. Le sue riforme in Vaticano non erano certo gradite a tutti. Per non parlare della sua frontale opposizione all’aborto, all’eutanasia e all’ideologia LGBT+, che gli è costata anni di campagne denigratorie e di macchine del fango da parte della stampa laica. Quasi inevitabile, allora, che qualcuno, prima o poi, gliel’avrebbe fatta pagare.
Nel suo libro-memoriale Diario di prigionia, Pell descrive il momento più buio della sua vita e il modo in cui la fede l’ha sostenuto. Lui stesso ha raccontato delle sue “lotte spirituali” e del perdono nei confronti dei suoi persecutori, manifestato dopo un lungo tempo di tentazioni contrarie. L’anziano cardinale australiano si è ritrovato in cella, impossibilitato a celebrare messa e a ricevere la comunione, circondato da assassini, terroristi e tossicodipendenti che avrebbe voluto fraternamente aiutare. Da questa terribile vicenda, è uscito un Pell profondamente diverso da prima: la grinta del prelato militante e intransigente ha lasciato spazio all’uomo sofferente, calunniato e umiliato, che, però, non ha ceduto al rancore.
Poteva piacere o non piacere George Pell. Il suo modo di “fare Chiesa” poteva essere condivisibile o meno. Si può persino arrivare a mettere in dubbio la sua innocenza. Nessuno, però, potrà mai questionare sul fatto che l’arcivescovo emerito di Sydney è dovuto salire in croce per la sua fede. Al momento dell’ultimo viaggio, il supremo Giudice della vita e della morte, non potrà non averne tenuto conto.