Proprio oggi ricorre un centenario “scomodo” ma degno di commemorazione per molti motivi. Don Lorenzo Milani (1923-1967) è stato una figura tanto importante quanto impossibile da inquadrare in facili schemi. Innanzitutto, perché non ha fatto soltanto la storia della Chiesa ma ha fatto anche la storia del nostro Paese. Don Milani è stato, prima ancora che un prete, un educatore. Ciononostante, la sua eredità morale e culturale è impossibile da inquadrare al di fuori della sua scelta religiosa.
Un “prete degli ultimi”, indubbiamente, eppure anche questa definizione gli va stretta ed è parecchio riduttiva, pur non essendo affatto scontata, in particolare per l’epoca in cui don Milani vive. Andare controcorrente, anche a costo di farsi male, è stato il suo imperativo categorico ma è stato soprattutto il suo modo di vivere radicalmente il Vangelo. Milani nasce in una famiglia benestante fiorentina e, proprio negli anni in cui l’Italia inizia a diventare ricca, compie una scelta di povertà evangelica. Don Milani è un convertito e individua lo strumento di perseveranza della sua conversione nell’amore ai poveri. Molti santi hanno glorificato Dio, nell’opera di misericordia del “dar da mangiare agli affamati”, altri lo hanno fatto nel “visitare gli infermi”. Milani scelse una via forse meno praticata, pur non essendo stato certo il primo a farlo: “istruire gli ignoranti”.
Per don Milani, lo strumento di emancipazione dei poveri non è – come sostenevano allora i marxisti – il lavoro o l’abbattimento delle iniquità salariali. Il priore di Barbiana individuava la chiave di volta del riscatto dei disperati nell’istruzione. Non gli interessava che, banalmente, guadagnassero il titolo di studio come trampolino di lancio per una vita migliore. L’educazione, per don Milani, è il primo passo per la conoscenza del mondo e delle sue dinamiche, per pensare con la propria testa e maturare come uomini. Anche per questo, don Milani era “scandaloso”: lo era ieri e, in parte, lo è anche oggi. Lo era quando affermava che “l’obbedienza non è una virtù” o quando nel suo testamento scrisse ai suoi ragazzi: “ho voluto più bene a voi che a Dio”.
Con il suo temperamento passionale e ribelle, Don Milani è segno di contraddizione. Con i suoi ragazzi, sapeva essere intransigente e burbero: dovevano imparare il sacrificio, per approdare agli agognati lidi della libertà. Anche per questo era così presente, in modo quasi ossessivo nelle loro vite, sette giorni su sette, facendoli studiare e lavorare persino la domenica. “Lui era obbediente in maniera radicale e rigorosa, sine glossa al Vangelo e quindi a Dio, ma proprio in virtù di questa obbedienza all’Altissimo è anche disobbediente rispetto alle logiche del mondo, ai costumi del mondo, ma anche disobbediente rispetto a se stesso”, spiega il suo biografo Mario Lancisi.
Don Milani, rappresenta anche una generazione di cattolici (in cui possiamo inserire anche, nei loro diversi ruoli e inclinazioni, San Paolo VI o Aldo Moro) che, a differenza di quella attuale, guardava con occhio fiducioso alla politica. Il parroco di Barbiana teneva sul comodino la Bibbia e la Costituzione. Nel suo caso, la politica non è intesa come appartenenza a un partito o a una corrente ideologica, ma come un impegno concreto di ogni giorno, in cui il fine terreno è l’incontro e la collaborazione con l’altro per il bene comune. Da qui il suo motto “I care”. Nella sua celebre Lettera a una professoressa, don Milani scrive: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Per don Milani, la realtà precede le idee e lui stesso lo dimostra, mettendo davanti a tutto gli allievi della sua scuola, dei quali conosceva ogni aspetto della loro vita, perché la formazione che dava loro era integrale.
Un grande “rivalutatore” di don Milani, per decenni tenuto a una certa distanza dalle gerarchie, è stato proprio papa Francesco, che il 20 giugno 2017, lo ha commemorato a Barbiana, nel cinquantennale della scomparsa. In quell’occasione, il Pontefice ha colto il lato meno conosciuto del priore di Barbiana, quello spirituale: “A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. […] Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni”.
Nel centenario della nascita, in definitiva, don Lorenzo Milani si ripropone come figura con cui si può essere d’accordo o meno. In particolare, può non piacere a chi ha un’idea di Chiesa piuttosto spiritualista o “mistica” e ritiene che un sacerdote debba limitarsi ad essere una mera guida spirituale. Ciò che con don Milani non si può fare è pretendere di capirlo o spiegarlo. Molto più utile, leggerlo o ascoltarlo, lasciandosi inquietare dalla sua straordinaria attualità.