Il Papa: “In confessionale ho capito il dramma dell’aborto”

Introduzione

Francesco sul volo di ritorno da Panama: «Alle donne che hanno questa angoscia dico: tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli». Per il Venezuela chiede una soluzione pacifica: «Mi spaventa lo spargimento di sangue». Sull’incontro di febbraio per la protezione dei minori: «Dobbiamo prendere coscienza del dramma e avere dei protocolli, i vescovi devono sapere che cosa fare»

 

Per capire il dramma dell’aborto bisogna stare in confessionale e aiutare le donne a riconciliarsi con il figlio non nato. Per fare il Papa bisogna “sentire” la gente, farsi ferire dagli incontri che si fanno, dalle persone che ci colpiscono con le loro storie e i loro drammi, portando tutto davanti al Signore perché le confermi nella fede. All’incontro di febbraio sugli abusi bisogna «prendere coscienza» di che cosa siano un bambino o una bambina abusati, per mettersi dalla parte di chi ha sofferto questa terribile violenza. E in questa identica prospettiva si colloca la preoccupazione per il Venezuela, che spinge Francesco a chiedere una soluzione pacifica ed evitare lo spargimento di sangue. Il Papa, che si dice «distrutto» per l’intensità di un viaggio vissuto senza risparmiarsi, dialoga per cinquanta minuti con i giornalisti in alta quota sul volo che lo riporta a Roma, nella prima conferenza stampa guidata dal direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti.

Che impatto ha avuto la sua missione a Panama? Che impatto le ha provocato?

«La mia missione, in una Giornata della Gioventù, è la missione di Pietro, confermare nella fede e questo non con mandati “freddi” o precettivi, ma lasciandomi toccare il cuore e rispondendo a quello che lì accade. Io lo vivo così, mi costa pensare che qualcuno possa compiere una missione solo con la testa. Per compiere una missione bisogna sentire, e quando senti vieni colpito. Ti colpisce la vita, ti colpiscono i problemi. All’aeroporto stavo salutando il Presidente e hanno portato un bambino di colore, simpatico, piccolo così. E mi ha detto: “Guardi, questo bambino stava passando la frontiera della Colombia, la madre è morta, è rimasto solo. Ha cinque anni. Viene dall’Africa, ma ancora non sappiamo da quale Paese perché non parla né l’inglese, né il portoghese, né il francese. Parla solo la lingua della sua tribù. Lo abbiamo un po’ adottato noi”. Il dramma di un bambino abbandonato dalla vita, perché sua mamma è morta e un poliziotto lo ha consegnato alle autorità perché se ne facciano carico. Questo ti colpisce, e così la missione comincia a prendere colore, ti fa dire qualcosa, ti fa accarezzare. La missione sempre ti coinvolge. Almeno a me coinvolge. Dico sempre ai giovani: voi quello che fate nella vita lo dovete fare camminando, e con i tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore, quello delle mani. E i tre linguaggi armonizzati, in modo che pensiate ciò che sentite e ciò che fate, sentiate ciò che pensate e ciò che fate, facciate ciò che sentite e ciò che pensate. Non so fare un bilancio della missione. Io con tutto questo vado davanti al Signore a pregare, a volte mi addormento davanti al Signore, ma portando tutte queste cose che ho vissuto nella missione e gli chiedo che Lui confermi nella fede attraverso di me. Questo è come cerco di vivere la missione del Papa e come la vivo».

La GMG a Panama ha corrisposto alle sue aspettative?

«Sì, il termometro è la stanchezza, e io sono distrutto».

C’è un problema che è comune in tutto il Centroamerica, incluso Panama e buona parte dell’America Latina: le gravidanze precoci. Solo a Panama sono state diecimila lo scorso anno. I detrattori della Chiesa cattolica la incolpano perché si oppone all’educazione sessuale nelle scuole. Qual è l’opinione del Papa?

«Credo che nelle scuole bisogna dare l’educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio non è un mostro. È il dono di Dio per amare e se qualcuno lo usa per guadagnare denaro o sfruttare l’altro, è un problema diverso. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, come è, senza colonizzazioni ideologiche. Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza. Educato, da “educere”, per far emergere il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale come pure di ciascuna unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo… Io ne ho visti di ogni tipo, ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno. Dico questo senza entrare nei problemi politici di Panama: bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile per tante situazioni della famiglia o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, sennò resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia».

In questi giorni lei ha parlato con tante persone e tanti ragazzi. E anche con ragazzi che si allontanano dalla Chiesa. Quali sono i motivi che li allontanano?

«Sono tanti, alcuni sono personali. Ma il più generale è la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi. Non dico dei Papi, perché è troppo, ma… anche pure. Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, se non è vicino alla gente, non dà una testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente. Il pastore deve essere davanti al gregge, per indicare il cammino. In mezzo al gregge per sentire l’odore della gente e capire che cosa sente la gente, di che cosa ha bisogno. E deve essere dietro il gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata o prova un certo senso di disprezzo. Si sente orfana. Ho parlato dei pastori, ma ci sono anche i cristiani, i cattolici. Ci sono i cattolici ipocriti, che vanno a messa tutte le domeniche e non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente. E poi vanno ai Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente. Se fai questo dai una contro-testimonianza. Questo a mio parere è ciò che allontana di più la gente dalla Chiesa. Ai laici suggerirei: non dire che sei cattolico, se non dai testimonianza. Piuttosto puoi dire: sono di educazione cattolica, ma sono tiepido, sono mondano, chiedo scusa, non guardatemi come un modello. Questo si deve dire. Io ho paura dei cattolici così, che si credono perfetti. La storia si ripete, lo stesso accadde a Gesù con i dottori della legge, che pregavano dicendo: “Ti ringrazio Signore perché non sono come questi peccatori”».

Abbiamo visto per quattro giorni questi giovani pregare con molta intensità, possiamo pensare che molti abbiano la vocazione. Forse qualcuno di loro sta esitando, perché non può sposarsi. È possibile che lei permetta a degli uomini sposati di diventare preti nella Chiesa cattolica di rito latino, come avviene nelle Chiese orientali?

«Nella Chiesa cattolica di rito orientale possono farlo, si fa l’opzione celibataria o di sposo prima del diaconato. Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Questo mi è venuto in mente e voglio dirlo perché è una frase coraggiosa, lo disse nel 1968-1970, in un momento più difficile di quello attuale. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale. No. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli. C’è un libro di padre Lobinger, interessante, è una cosa in discussione fra i teologi, non c’è una decisione mia. La mia decisione è: no al celibato opzionale prima del diaconato. È una cosa mia, personale, ma io non lo farò, questo è chiaro. Sono uno chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione. Padre Lobinger dice: la Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia fa la Chiesa. Ma dove non c’è eucaristia né la comunità – pensi alle isole del Pacifico – Lobinger chiede: chi fa l’eucaristia? I direttori e gli organizzatori di quelle comunità sono diaconi o suore o laici. Lobinger dice: si potrebbe ordinare prete un anziano sposato, questa è la sua tesi. Ma che eserciti solo il munus sanctificandi, cioè celebri la messa, amministri il sacramento della riconciliazione e dia l’unzione degli infermi. L’ordinazione sacerdotale dà i tremunera: il munus regendi (il pastore che guida), il munus docendi (il pastore che insegna), e il munus sanctificandi. Il vescovo gli darebbe solo licenza per il munus sanctificandi. Questa è la tesi, il libro è interessante e forse questo può aiutare a come rispondere al problema. Credo che il tema debba essere aperto in questo senso per i luoghi dove c’è un problema pastorale per la mancanza dei sacerdoti. Non dico che si debba fare, non ci ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi ne discutono, devono studiare. Parlavo con un officiale della Segreteria di Stato, un vescovo che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione, e quando hanno visto come arrivava quella rivoluzione negli anni ’50, i vescovi hanno ordinato di nascosto dei contadini, bravi e religiosi. Poi passata la crisi, trent’anni anni dopo, la cosa si è risolta. E lui mi diceva l’emozione che aveva avuto quando in una concelebrazione vedeva questi contadini con mani da contadino mettersi il camice per concelebrare con i vescovi. Nella storia della Chiesa questo si è verificato. È una cosa da pensare e su cui pregare. Infine avevo dimenticato di citare l’Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI, per i sacerdoti anglicani che sono diventati cattolici mantenendo la loro vita come se fossero orientali. Ricordo a un’udienza del mercoledì, ne ho visti tanti col colletto e con tante donne e bambini».