Israele-Gaza: chi vuole la pace non fa notizia

Guerra a Gaza
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Ogniqualvolta le ombre della guerra, del terrorismo, della morte si allungano su interi Paesi irrorati dal sangue del santi e dei martiri, a essere turbata è l’intera comunità ecclesiale. Era avvenuto dieci anni fa in Siria, tanto che papa Francesco indisse una giornata di preghiera e di digiuno per il 7 settembre 2013. Il 25 marzo 2022, è ancora il pontefice regnante a consacrare la Russia e l’Ucraina, nel pieno del loro scontro fratricida tra nazioni slave e, in prevalenza, cristiano-ortodosse.

Dopo i tragici fatti avvenuti a cavallo tra Israele e la Striscia di Gaza, sono state le Chiese locali a chiedere una giornata di preghiera, di astinenza e di digiuno per martedì 17 ottobre. Tutto ha avuto origine per iniziativa del Patriarcato Latino di Gerusalemme. “Probabilmente in molte parti delle nostre diocesi le circostanze non permetteranno la riunione di grandi assemblee. Nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nelle famiglie – ha dichiarato il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme – sarà comunque possibile organizzarsi per avere semplici e sobri momenti comuni di preghiera”. La Conferenza Episcopale Italiana è stata tra le comunità nazionali più sollecite nell’aderire all’iniziativa.

È significativo che le voci più autorevoli per la pace vengano tutte dai principali leader cristiani del Medio Oriente. Il Custode francescano della Terra Santa, padre Francesco Patton, non si è schierato per alcuna parte in conflitto, esprimendo, piuttosto, la preoccupazione per la sorte degli ostaggi a Gaza e anche per la minoranza cristiana di Terra Santa che “anche questa volta rischia di essere compressa da un conflitto a cui non partecipa” e, in particolare, per la “piccola comunità cristiana di Gaza, che rischia di estinguersi”. Che tale piccola comunità sia uno straordinario focolaio di pace e di speranza lo dimostra anche l’impegno della stessa parrocchia di Gaza che in questi giorni sta ospitando almeno 150 rifugiati.

Senza i cristiani in Terra Santa, la pace non sarebbe possibile nemmeno per un minuto. Va aggiunto, a onor del vero, che, anche nel mondo ebraico e musulmano, l’anelito di pace è sincero, quando l’ispirazione religiosa è autentica. Due nomi su tutti: Shaul David Judelman, rabbino israeliano, e il palestinese Khaled Abou Awad, che hanno fondato il movimento Shorashim-Judur (Amici delle radici) per promuovere il dialogo tra i rispettivi popoli nella diversa appartenenza religiosa. “Oggi – ha detto il rabbino – tutti rappresentano un obiettivo e non vengono fatte distinzioni. Io stesso in passato ho parlato di sostegno ai palestinesi, ma in questo momento tutto è più difficile”.

Se lo scenario è questo, proviamo a sognare, anche solo per pochi minuti, una realtà diversa dall’attuale. Immaginiamo se, per una sorta di par condicio, accanto alle dichiarazioni incendiarie di tanti leader politici a tutte le latitudini, tutti i media, a partire dalle tv, dessero spazio ogni giorno alle voci di pace senza distinzioni per appartenenza religiosa. Qualcosa sicuramente si scuoterebbe nei cuori di molte persone, forse persino i potenti vacillerebbero nelle loro convinzioni. Se si parlasse di pace e – soprattutto – se se ne parlasse in un’ottica sovrannaturale, come la dona Dio e non come la danno gli uomini (cfr Gv 14,27), non vivremmo certo ancora in un mondo perfetto ma, quantomeno, avremmo una chance di credere in un mondo diverso. Se ci si abitua a vivere al chiuso, nell’oscurità, ci si dimenticherebbe facilmente di quanto possano essere preziosi il sole e l’aria pura. Parimenti, tanto più ci si dimentica di Dio, lo si tradisce o lo si strumentalizza, tanto più si rischiano di perdere tutti i doni e le grazie che solo da Lui provengono. La pace è uno di questi doni: lo apprezziamo ancora?