La Chiesa è in crisi? Sì, ma ogni crisi è fatta per rafforzare la fede

La Chiesa è in crisi? Sì, ma ogni crisi è fatta per rafforzare la fede

Non dobbiamo nasconderci dietro un dito: la #Chiesa Cattolica è entrata ormai da tempo nella più grave #crisi dai tempi della Controriforma cinquecentesca. Parliamo di crisi nel senso etimologico del termine (dal greco κρίσις, ossia “scelta, decisione, fase decisiva”) e non di decadenza, come preludio di una fine. Stiamo vivendo tempi straordinari, in cui sono messe alla prova molte delle certezze dei fedeli, quantomeno riguardo alla Chiesa-istituzione, seppure taluni stiano iniziando a mettere in discussione persino i principi della Parola di Dio e della bimillenaria tradizione magisteriale.

Due eventi in particolare hanno suscitato emozioni e controversie nel corso di questo ottobre 2019. Il primo è stato il Sinodo sull’Amazzonia, sul quale sospendiamo ogni valutazione, rimandandola alla pubblicazione del documento finale dei padri sinodali. In questa sede ci limiteremo a constatare l’enorme fatica cui la Chiesa va incontro, ogniqualvolta si sforza di essere unita e di avvicinare popoli tra loro lontani. Come già avvenuto più di mezzo secolo fa, in occasione del Concilio Vaticano II, stiamo sperimentando come la necessità del cambiamento comporti decisioni molto coraggiose, con tutti i rischi e gli errori del caso. Evangelizzare una regione della terra emblema del colonialismo, dello sfruttamento e dell’oppressione è stato e sarà sempre un dovere. Al contempo in questa grande occasione di confronto e di rinnovamento si insinua il germe della confusione, del sincretismo e delle idolatrie.

Riguardo all’episodio del trafugamento delle statuette di Pachamama e del loro successivo rinvenimento in fondo al Tevere, comunque lo si voglia giudicare, emerge un dato incontestabile: c’è una fetta molto consistente della popolazione cattolica che conosce e ama i simboli della propria fede e che, proprio per questo, non ama mescolarli o accostarli indebitamente a simboli di altri culti. Il rispetto per altre culture, cioè, non deve tradursi in un “melting pot teologico”, per cui una religione vale l’altra o, peggio ancora, in uno sminuimento delle verità della nostra fede. Per quanto immaginiamo l’obiettivo dei padri sinodali fosse di natura di diversa, il messaggio che emerge dalla narrazione mediatica dominante di questo Sinodo sembra sintetizzarsi in un punto essenziale: la Chiesa deve rinnegare secoli di evangelizzazione nelle regioni amazzoniche, perché, per secoli, le sue missioni sono andate di pari passo con un colonialismo aggressivo, predatorio e schiavistico.

Anche l’acceso dibattito sui viri probati, qualunque sarà l’esito del documento finale e dei successivi provvedimenti del Papa, rende testimonianza di quanto vi sia una forte spinta (anche – anzi, per lo più – in episcopati ben lontani geograficamente e culturalmente dall’Amazzonia) a rendere più flessibili i principi del celibato sacerdotale. Qualunque sarà la strada imboccata dalla Chiesa del futuro, c’è comunque da augurarsi che questa discussione non rimanga puramente accademica ma possa indurre una riflessione onesta e trasparente sul celibato stesso e del perché esso sia da considerarsi un valore, a dispetto della crisi delle vocazioni.