La famiglia di Gesù: così ‘speciale’… e così ‘normale’

Bartolomé Esteban Murillo, "Le due Trinità (o Sacra Famiglia di Casa Pedroso), ca. 1680, National Gallery Londra

Quella che celebreremo domani è probabilmente la più trascurata delle liturgie natalizie. Dinnanzi allo stupore della Natività di Nostro Signore, commemorare anche la sua Famiglia, a taluni potrebbe apparire qualcosa di scontato, quasi di contorno. Invece no. Se è già di per sé sconvolgente l’idea che Dio possa farsi uomo, non meno d’impatto è l’idea che Egli possa essersi incarnato nel ventre di una donna e cresciuto, come tutti, da una madre e da un padre (seppur putativo). Ammirando in questi giorni l’arte presepiale nelle case, nelle chiese e nelle piazze, si può intuire l’essenza di tutte le virtù della Sacra Famiglia: il senso del sacrificio, l’unità nelle difficoltà, l’ospitalità verso l’altro (i pastori e, poi, i Re Magi). Nel suo essere ‘speciale’, la Sacra Famiglia di Nazareth non si discosta molto da quello che dovrebbero essere tutte le famiglie del mondo.

La virtù più manifesta nella Sacra Famiglia, tuttavia, è proprio l’umiltà nel compimento del piano di Dio. Dare alla luce ed educare il Figlio di Dio non era cosa di tutti i giorni; è semplicemente inconcepibile che Maria e Giuseppe potessero venire a scoprire la reale natura del loro Bambino, dopo che questi era già nato o, addirittura, quando era già grande. Anche se era stata concepita senza peccato originale, era necessario che un Angelo annunciasse a Maria la straordinarietà dell’opera che lo Spirito Santo stava per fare con la sua vita. Parimenti, per Giuseppe, sarebbe stato impossibile adempiere l’immenso ed insolito compito che lo attendeva, se l’Angelo non gli avesse subito premesso che quanto stava per accadergli era per la Gloria di Dio. Giuseppe e Maria hanno poi dovuto affrontare il viaggio per il censimento, proprio nei giorni in cui per Lei si compivano i giorni del parto (cfr Lc 2,6). Poco dopo, con Gesù ancora in fasce, la fuga in Egitto, per non cadere nelle grinfie di Erode (cfr Mt 2,13-22). Anche in seguito, la Sacra Famiglia è sottoposta a nuove prove, compresa la sparizione di Gesù per tre giorni (tre come i giorni che intercorreranno tra la morte e la Resurrezione) prima del ritrovamento nel Tempio. È proprio nel Tempio, che a Maria viene profetizzato il dolore per la crudele uccisione di suo Figlio (cfr Lc 2,35).

La Sacra Famiglia va commemorata e celebrata, perché, come ha detto qualche anno fa papa Francesco, ognuno possa vedere in essa “un’autentica scuola del Vangelo” e rispondere alla chiamata di Dio a fare di ognuna delle nostre famiglie una “chiesa domestica”, per “diventare fermento di bene nella società”. Non solo: “La Madonna e san Giuseppe insegnano ad accogliere i figli come dono di Dio, a generarli e educarli cooperando in modo meraviglioso all’opera del Creatore e donando al mondo, in ogni bambino, un nuovo sorriso – affermò il Santo Padre in quell’occasione –. È nella famiglia unita che i figli portano a maturazione la loro esistenza, vivendo l’esperienza significativa ed efficace dell’amore gratuito, della tenerezza, del rispetto reciproco, della mutua comprensione, del perdono e della gioia”.

La Sacra Famiglia, tuttavia, è simile alle altre anche in un altro aspetto: diventato adulto il Figlio si è reso autonomo dai genitori e lo ha fatto per realizzare il piano di salvezza di Dio. Una ‘autonomia’ che comincia ad emergere piuttosto precocemente, allorché a dodici anni, dopo essere stato presentato dai genitori al Tempio, Gesù si allontana dalla carovana per fare ritorno a Gerusalemme e discutere con i dottori (cfr Lc 2,46). In questo episodio, risiede tutta la straordinaria umanità della Sacra Famiglia di Nazareth: la Vergine Maria – che pure è una madre ‘speciale’ – si angoscia per la sparizione del Figlio come sarebbe successo per qualunque mamma. E quando Lui si spiega (“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Lc 2,49), i genitori non comprendono (cfr Lc 2,50). A dodici anni, Gesù è un fanciullo più maturo degli altri, compie un gesto inenarrabile, eppure, nel tempo a venire, rimane “sottomesso” (cfr Lc 2,51) a Maria e Giuseppe. Questo passaggio è di grande insegnamento nei rapporti filiali di ogni giorno: un figlio, pur dovendo sempre obbedienza ai genitori, va comunque lasciato libero di “uscire dalla carovana”. Non necessariamente i primi passi nell’autonomia e nell’emancipazione si traducono nella devianza e nella perdizione. Non ogni figlio va incontro a un destino come quello del Figliol Prodigo (cfr Lc 15,11-32). Per ogni figlio che rinnega il padre e trasgredisce le regole, ce n’è un altro che si allontana dal padre terreno, per approfondire la conoscenza con il Padre celeste. Un genitore può non comprendere fino in fondo il desiderio di libertà del figlio ma, in molti casi, deve assumersi il rischio e il coraggio di rispettare questo desiderio, perché potrà anche derivarne un gran bene.

Per questi e per molti altri motivi, la Sacra Famiglia di Nazareth ci appassiona, ci commuove e ci fa immedesimare. Non è una famiglia come tutte le altre ma è una famiglia in cui ci possiamo rispecchiare pienamente. Contemplarla nei nostri presepi durante questa festività natalizie, ci darà più gioia e più forza nel nostro cammino di fede.