La Resistenza “cattolica”: segno di contraddizione e di pace nella tragedia della guerra

La Resistenza “cattolica”: segno di contraddizione e di pace nella tragedia della guerra

Nella tortura, Signore, serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Ti preghiamo, Signore, noi ribelli per amore”. Recita così la più nota delle preghiere dei partigiani italiani, composta dal Servo di Dio Teresio Olivelli (1916-1945), protagonista della Resistenza cattolica, deportato nel lager nazista di Hersbruck, dove morì il 22 gennaio 1945. La guerra partigiana ha segnato uno dei momenti spartiacque nella storia italiana, non solo per via del ritorno della democrazia nel nostro paese ma anche per aver rappresentato il primo vero movimento di massa, espressione di un popolo che, ad ampissima maggioranza, si ribellava all’invasore. In questo passaggio cruciale e drammatico, per la prima volta i cattolici assumono un ruolo politicamente decisivo, laddove la fondazione del Partito Popolare Italiano (1919) non aveva avuto tempo di radicarsi, essendo stato subito travolto dalle vicende del ventennio fascista.

Non è semplice delineare in modo puntuale il ruolo dei cattolici nella Resistenza e le relative dinamiche. Vale la pena, però, ribadire due certezze: 1) La stragrande maggioranza di loro si schierò con i partigiani, perché il cristianesimo, per sua natura, non può appoggiare le dittature, meno che mai un regime feroce come quella nazista. Lo testimonia l’enorme numero di martiri per la Resistenza, molti dei quali già beatificati; 2) Rispetto alla Resistenza di stampo marxista (dalle cui fila ripreso forma i partiti comunista e socialista) e, in parte, a quella laico-liberale del Partito d’Azione, la componente cattolica si presentò come meno retorica e meno autocelebrativa ma, soprattutto, non ricadde mai negli eccessi di cui si macchiarono molti partigiani di sinistra, con rappresaglie che spesso andarono ben al di là delle colpe dell’avversario.

Una pagina oscura della Resistenza italiana, venuta alla luce soltanto da una quindicina d’anni a questa parte, grazie in particolare – ma non solo – alle ricostruzioni storico-giornalistiche di Giampaolo Pansa. Dopo la Liberazione, molti partigiani estremisti avviarono una vera e propria “caccia alle streghe”, in cui l’alleato “moderato” era visto come traditore. A farne le spese sono stati soprattutto i cattolici di entrambi gli schieramenti: sia i pochi rimasti fedeli ai nazifascisti, sia chi aveva appoggiato la Resistenza. Si calcola che i sacerdoti uccisi dai partigiani siano stati almeno 130, molti dei quali traditi dai loro stessi compagni di brigata. Dalla corposa indagine realizzata da Roberto Beretta*, emergono decine di tragiche storie, come quella di don Francesco Venturelli (1888-1946), ritenuto colpevole di aver visitato e confortato i prigionieri fascisti, e quindi assassinato a Fossoli (MO), il 15 gennaio 1946, a quasi un anno dalla fine della guerra.

Il martirio più noto è probabilmente quello del beato Rolando Rivi (1931-1945), seminarista di appena quattordici anni, trucidato dai partigiani a Castellarano (RE), il 13 aprile 1945, per essersi rifiutato di togliere l’abito talare. La sua vicenda è tornata alla ribalta la settimana scorsa, quando, in occasione della dedicazione al beato del santuario di San Valentino di Castellarano, presieduta dal vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, monsignor Massimo Camisasca, è intervenuta Maris Corghi, figlia di Giuseppe Corghi, l’assassino di Rivi. “Io sono solo una figlia, e la risposta che ho trovato nel cuore è stata: siamo tutti figli, figli dello stesso Padre e fratelli, ognuno con i suoi personali fardelli”, ha detto la donna, chiedendo perdono per il gesto del padre. “Possiamo diventare una valanga di cuori, una valanga di amore”, ha aggiunto la Corghi, suggellando la celebrazione con un abbraccio ad Alfonso Rivi, cugino del seminarista martire.