L’agricoltura, un dono di Dio

Protesta degli agricoltori tedeschi (gennaio 2024)
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Molti commentatori sostengono che il 2024 sarà un anno particolarmente difficile, segnato da tensioni sociali molto marcate. C’è chi parla, senza mezzi termini, di una terza guerra mondiale alle porte, mentre qualcun altro sostiene siamo “soltanto” sull’orlo di una “seconda Rivoluzione francese”. Senza indulgere nei facili vaticini, possiamo comunque affermare che l’evento più importante di questo primo mese dell’anno siano state senz’altro le proteste degli agricoltori europei, partite dalla Germania e, poi, a effetto domino, diffusesi in Francia, in Italia e in quasi tutto il resto del vecchio continente.

Erano anni, ormai, che i produttori agricoli stavano patendo la crisi del loro settore, sotto la spinta di una serie di fenomeni succedutisi in sequenza alternata e poi drammaticamente finiti sovrapposti. Il primo fattore, manifestatosi già agli albori della globalizzazione, va individuato nella concorrenza dei Paesi emergenti, in grado di fornire prodotti molto simili, a prezzi nettamente più bassi, grazie anche all’irrisorio costo della manodopera. Poi è stata la volta, nel caso specifico dell’Unione Europea, dell’implementazione di regolamenti sempre più stringenti come condizioni per ricevere aiuti comunitari nelle varie formule dei Piani di Sviluppo Rurale o dei Complementi di Sviluppo Rurale. In seguito, è stata la volta del Green Deal e di una serie di impopolari direttive, da quella sul dimezzamento dei fitofarmaci a quella sulle emissioni degli allevamenti (entrambe, comunque, fortemente ridimensionate al Parlamento Europeo rispetto alle bozze originarie).

Infine, il colpo di grazia: il conflitto in Ucraina, con i conseguenti rincari delle materie prime e la concorrenza cerealicola da parte dello stesso Paese in guerra. Un problema speculare sta emergendo nelle ultime settimane con il conflitto nello Yemen e la conseguente di difficoltà di transito delle navi mercantili per il Mar Rosso: un colpo fatale all’export agroalimentare europeo e, in particolare, italiano, a più riprese denunciato in particolare da Coldiretti. Un discorso a parte meriterebbero i processi di sdoganamento di varie forme di novel food, dalla farina di insetti ai cibi proteici coltivati in laboratorio: autentico fumo negli occhi per gli agricoltori e allevatori, che comprensibilmente hanno contestato durante le manifestazioni di queste settimane, sebbene i cibi sintetici non siano ancora stati autorizzati in nessun Paese europeo, mentre, nel caso dell’Italia, sono stati esplicitamente banditi.

La battaglia in corso a cavallo tra le campagne e le città d’Europa, con migliaia di trattori a occupare le piazze di Berlino, Parigi e di altre metropoli, è molto più di una semplice protesta a sfondo socio-economico. Siamo di fronte a uno dei tanti spartiacque del nostro tempo. Da un lato, la natura, la fatica, l’uomo che vive a diretto contatto con la terra e, soggiogarla nel senso biblico del termine (cfr Gen 1,28), può renderla migliore e più fruttuosa. Dall’altro, troviamo un’utopia pseudo-ecologista che, paradossalmente, nasce dalla civiltà industriale al suo ultimo stadio, nella pretesa di cambiare radicalmente la natura dell’uomo, a partire da quello che mangia.

L’ideologia oggi dominante include, tra le sue tante follie, la pretesa di bandire l’agricoltura, la pesca e l’allevamento dalle attività umane, in quanto considerate nocive per l’ecosistema e – ça va sans dire – per il clima. Sappiamo, al contrario, dalle Scritture e anche dall’enciclica Laudato sì (cfr n°67) di papa Francesco, che, lungi sia dall’esserne dominato, sia dal dominarlo, l’essere umano è custode del Creato ed è chiamato a trasformarlo in un giardino accogliente per tutti, in armonia con gli altri esseri umani e con tutte le specie viventi, animali, vegetali e minerali.

Vale la pena ricordare, in tal senso, anche le recenti parole del Pontefice, durante l’udienza concessa lunedì scorso ai partecipanti al convegno organizzato da Vinitaly sul tema L’economia di Francesco e il mondo del vino italiano. Nel suo discorso, papa Francesco ha innanzitutto elogiato l’“attenzione all’ambiente, al lavoro e a sane abitudini di consumo” da parte dei viticoltori italiani. Al contempo, il Santo Padre ha ricordato che “per un prodotto di qualità, infatti, non basta l’applicazione di tecniche industriali e di logiche commerciali; la terra, la vite, i processi di coltivazione, fermentazione e stagionatura richiedono costanza, richiedono attenzione e richiedono pazienza”. Secondo il Papa, “il vino, la terra, l’abilità agricola e l’attività imprenditoriale sono doni di Dio, ma non dimentichiamo che il Creatore li ha affidati a noi, alla nostra sensibilità e alla nostra onestà, perché ne facciamo, come dice la Scrittura, una vera fonte di gioia per «il cuore dell’uomo» (cfr Sal 104,15)”.

L’intero Vangelo è un continuo susseguirsi di metafore “agricole”, legate in particolare alla cerealicoltura e alla viticoltura. Nella messa, poi, un attimo prima della transustanziazione eucaristica, ogni sacerdote indica sempre il pane e il vino come “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Lo stesso papa Benedetto XVI, al momento della sua elezione, il 19 aprile 2005, si autoproclamò “umile servo nella vigna del Signore”. Tra le tante attività umane, l’agricoltura è oggetto di una particolare benedizione da parte del Signore.

L’agricoltore stesso sa bene che la sua immane fatica nel “soggiogare la terra” sarà sempre condizione necessaria ma mai sufficiente per un buon raccolto. Interverranno sempre, infatti, fattori indipendenti dalla sua volontà, in grado di vanificare in un sol colpo un lavoro magnifico realizzato con grande sacrificio: la grandine, la siccità, le inondazioni, i parassiti, gli eventi avversi in tutte le loro forme. È anche per questo che le persone impegnate nelle attività rurali sono tipicamente quelle che più pregano e più si affidano alla Provvidenza. Il cosiddetto “settore primario” potrà legittimamente modernizzarsi, meccanizzarsi, digitalizzarsi ma non potrà mai fare a meno dell’intervento umano, né viceversa l’uomo potrà mai rinunciare all’agricoltura a vantaggio di un’alimentazione chimica, industriale o sintetica. Per tutti questi motivi, l’agricoltura e gli agricoltori meritano un grande rispetto, mentre chi crede è chiamato a riflettere sul loro ruolo umilmente provvidenziale.