È pieno di spunti incoraggianti il Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana in occasione della 43a Giornata per la Vita. Aver scelto come tema Libertà e vita non era per nulla scontato, in un tempo in cui molti tendono a vedere i due principi come contrapposti.
“Qual è il senso della libertà? Qual è il suo significato sociale, politico e religioso? Si è liberi in partenza o lo si diventa con scelte che costruiscono legami liberi e responsabili tra persone? Con la libertà che Dio ci ha donato, quale società vogliamo costruire?”. Sono queste le domande sollevate nel Messaggio, firmato dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI. La risposta indicata dai vescovi italiani è nel Vangelo: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Ne consegue che “la libertà non è il fine, ma lo “strumento” per raggiungere il bene proprio e degli altri, un bene strettamente interconnesso”. Di conseguenza, è lapalissiano affermare che nessun bene potrà mai essere superiore al bene della vita.
Nel loro messaggio i presuli considerano “inscindibile” il binomio libertà-vita. Un concetto che, attualizzato, illumina di una luce nuova molte delle problematiche che stiamo vivendo. La CEI prende atto che i mesi di lockdown sono stati mesi di “privazioni”, specie in termini di “rapporti sociali” e che, in un tempo di emergenza sanitaria, urge rinnovare una “cultura della prossimità”. In tal modo, i vescovi sembrano suggerire che chiudersi in casa e terrorizzarsi all’idea che ogni contatto umano tradursi in un contagio, non è la soluzione. Ma non è tutto.
Farsi prossimi all’altro e non vederlo come un pericolo è una chiave di lettura rivoluzionaria non soltanto per ciò che riguarda l’emergenza Covid ma anche nell’ambito di altre problematiche attuali. Se vogliamo iniziare ad affrontare i dibattiti pro life, evitando di cadere nel trabocchetto delle accuse di “divisività”, sarà importante innanzitutto restituire all’altro la dignità e il valore intrinseco di cui è titolare. Quando si banalizza il dramma aborto, edulcorandolo e riducendolo a una questione di “salute riproduttiva” o di “libertà di scelta” delle donne, si sta calpestando la libertà di colui che non può scegliere, cioè il nascituro. Permettendo a un essere umano di nascere, gli si riconosce la libertà di scelta sulla propria vita.
Nel caso in cui, poi, per qualunque motivo, qualcuno possa malauguratamente optare per il suicidio (assistito o no) o per l’eutanasia, la prossimità è il primo passo da fare per indicargli una strada alternativa, quella della vita. Se le persone, in particolar modo le più fragili, vengono rese consapevoli dell’inestimabile valore della propria esistenza, sarà molto più difficile che compiano una scelta di morte. In questo modo la libertà che avremo loro riconosciuto assumerà un significato molto più alto e molto più ampio.
Il 2021 è iniziato decisamente in salita, per tutte le cause pro life. Negli USA, il presidente Joe Biden ha avviato la sua azione di governo, con una raffica di provvedimenti a favore dell’aborto. In Francia, è in discussione al Senato la loi bioétique, che liberalizzerebbe ulteriormente le pratiche della fecondazione assistita, aprendo di fatto all’utero in affitto. In Inghilterra, un cittadino polacco in stato vegetativo è stato fatto morire di fame e di sete, nonostante la contrarietà dei familiari, mentre la piccola Pippa Knight, a soli cinque anni, rischia di diventare l’ennesima martire del “miglior interesse”, imposto dal sistema sanitario britannico a molti bambini gravemente malati. In Spagna e in Portogallo sono state approvate leggi sull’eutanasia.
La Polonia, in controtendenza come sempre, ha ristretto la facoltà di abortire, vietando l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del nascituro: la sentenza della Corte Costituzionale polacca ha però riversato in strada le contestazioni, spesso violente, dei collettivi femministi. In Italia, due manifestanti pro life che pregavano contro gli aborti davanti all’ospedale San Gerardo di Monza, sono stati picchiati da un medico che non la pensava come loro.
La cultura della morte, insinuatasi mellifluamente in nome di una falsa libertà, sta calando la maschera e mostrando tutta la sua aggressività e intolleranza. Al male, però, non si risponde con il male. È per questo che, nell’affermare i principi della libertà e della vita opportunamente menzionati dai vescovi italiani, non è fuori luogo indicare nell’amore il vero collante che li tiene insieme. Uccidiamo i bambini prima che nascano, perché non sappiamo più amare. Sopprimiamo le vite dei più deboli, perché non sappiamo più amare. Creiamo bambini su misura in provetta, perché siamo sviati da un narcisismo capriccioso che scambiamo per amore. Quando comprenderemo che si può amare veramente, soltanto se si è disposti a dare la vita per l’altro, avremo compiuto il primo passo verso una rivoluzione dalle conseguenze meravigliosamente incalcolabili.