Mario e gli altri: uomini dal cuore d’oro, carabinieri di Dio

Forse è esagerato definirlo un martire, tuttavia il tragico assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega, avvenuto a Roma nella notte tra il 26 e il 27 luglio, può essere considerato, senza tema di smentita, la “morte di un giusto”. Dalle testimonianze raccolte, la vittima è stato un uomo che ha vissuto la sua vita personale e la sua vocazione professionale, in perfetta coerenza con la propria fede cristiana.

Mario era volontario per i Cavalieri di Malta, per i quali faceva il barelliere, accompagnando i malati a Lourdes e a Loreto. Tutti i martedì si recava alla Stazione Termini per distribuire viveri ai senza fissa dimora. Quattro anni fa ricevette un encomio speciale, per aver accompagnato una bambina malata e sua madre all’ospedale Bambino Gesù di Roma, vegliando con loro per un’intera notte. Anche per queste ragioni, la sua tragica morte ha destato profonda commozione in chi lo conosceva (e non solo), a partire dalla moglie Rosa Maria, rimasta vedova dopo appena 43 giorni di matrimonio. Al momento del delitto, la coppia era rientrata da poco dal viaggio di nozze.

Cerciello Rega è stato uno di quei cristiani che hanno preso sul serio e messo in pratica le Beatitudini evangeliche, in modo particolare la quarta: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6). Non è affatto una novità che un “uomo in armi” abbia condotto una vita all’insegna della santità e della virtù. Nell’Arma dei Carabinieri, spicca la notissima vicenda del Servo di Dio Salvo D’Acquisto (1920-1943). Già dalla sua prima adolescenza, D’Acquisto si era distinto per numerose opere di carità che lo avrebbero reso un carabiniere fuori dal comune. Educato dai Salesiani, a scuola il giovane Salvo era solito difendere i compagni di classe disabili, beffeggiati dagli altri ragazzi. Un giorno d’inverno, sfidando l’ira della madre, si levò le scarpe per donarle a un coetaneo povero e infreddolito. A 14 anni salvò la vita di un altro ragazzo che stava per essere investito da un tram. Spesso Salvo accompagnava il prozio Giuseppe durante le visite ai malati incurabili e ai tubercolotici. Con la nonna recitava il rosario quotidianamente, convocando l’intero condominio nel loro appartamento al terzo piano per la preghiera.

Per Salvo D’Acquisto, la scelta di entrare nei Carabinieri, fu il frutto di una lunga e sofferta preghiera presso la Madonna del Rosario di Pompei. Essendo fallita la ditta dello zio, Salvo aveva perso il lavoro e, a diciotto anni, aveva sentito che l’Arma lo chiamava. Poco tempo dopo scoppiò la guerra e D’Acquisto, mandato in Libia, rischiò di morire e fu ricoverato a Bengasi per un’enterocolite, quando, per giunta, era rimasto ferito a una gamba. Anche in guerra, Salvo D’Acquisto pregava regolarmente e pubblicamente, invitando gli altri commilitoni a unirsi ai suoi rosari, specie durante gli attacchi aerei. Non amava la guerra, al contrario, concepiva il suo ruolo militare come quello di un difensore dei deboli, dell’ordine e della pace. Auspicava che “i rapporti internazionali potessero essere dominati e guidati da spirito di collaborazione tra i popoli e da giustizia sociale” e vedeva la guerra come “lo sforzo dell’umanità per raggiungere un nuovo equilibrio”.

Una volta tornato in Italia, D’Acquisto fu promosso vicebrigadiere e gli fu assegnata la stazione dei Carabinieri di Torrimpietra, nell’entroterra del litorale romano. Anche qui, il suo carisma e la sua generosità conquistarono la popolazione locale, che incontrava regolarmente il vicebrigadiere ad ogni messa. Quando poi, il 22 settembre 1943, presso la Torre di Palidoro scoppiò una bomba a mano, provocando la morte di due paracadutisti tedeschi e il ferimento di altri due, la divisione nazista che, dopo l’armistizio dell’8 settembre, aveva preso il controllo della località tirrenica, prese in ostaggio 22 abitanti del posto. Doveva assolutamente saltare fuori il colpevole. D’Acquisto, uomo propenso al dialogo e alla mediazione, si recò dal comandante a spiegare che si era trattato di un incidente. Non essendo riuscito a convincere gli avversari, si dichiarò colpevole. A uno degli ostaggi, disse: “Il mio dovere l’ho fatto. Per quanto io ho detto penso che voi sarete salvi. Io devo morire. Una volta si nasce e una volta si muore”. Poi venne fucilato. È il 23 settembre 1943. Sepolto nella basilica di Santa Chiara a Napoli, di dove era originario, la sua causa di beatificazione e canonizzazione è in corso dal 1983.

In tempi più recenti, è impossibile non ricordare il sacrificio degli eroi di Nassirya, massacrati da un kamikaze il 12 novembre 2003, durante l’“Operazione Antica Babilonia”. Tra le 28 vittime, 19 italiani, tra cui 12 carabinieri. Tutte le storie personali dei caduti di Nassirya sono straordinarie e a ognuno di loro è stata dedicata una targa o una strada nelle rispettive località natali. Una vicenda su tutte, però, ha commosso più delle altre gli italiani: quella del brigadiere Giuseppe Coletta, 38enne siracusano, la cui moglie Margherita era in attesa del secondo bambino. Il primo figlio della coppia, Paolo, era morto di leucemia a soli 6 anni. Da allora il padre aveva sviluppato una spiccata sensibilità nei confronti di tutti i bambini sofferenti che incontrava nelle sue missioni di pace.

“Una volta, in Albania, quando c’era la deportazione dei Kosovari, si imbatte in un bambino che vagava sperduto, in cerca dei suoi genitori. Con altri commilitoni, lo portarono alla base e si adoperarono fino a quando riuscirono a trovare la sua famiglia. Giuseppe organizzava camion di aiuti per questi piccoli sfortunati e io ho raccolto il testimone”, ha raccontato qualche anno fa la moglie, che in sua memoria ha fondato l’associazione “Bussate e sarà aperto”, per proseguirne l’impegno per l’infanzia in difficoltà. Giuseppe e Margherita erano entrambi profondamente credenti. Soltanto la fede ha permesso loro di andare avanti dopo la perdita del figlio. “Quando è morto Paolo, ci siamo fatti forza l’un l’altro, io avevo lui come punto fermo. Quando poi è morto lui, mi mancava la spalla alla quale rivolgermi, la sua comprensione, ma ho avuto l’aiuto di Dio”, ha dichiarato la vedova Coletta.

Spesso le forze dell’ordine – Carabinieri in particolare – sono disprezzate o diventano oggetto di facile ironia. Dietro l’uniforme e la pistola, tuttavia, si nascondono tanti santi dei nostri giorni. Uomini che non cercano la fama, né la visibilità. Uomini dal cuore d’oro che rischiano la vita ogni giorno e che, proprio per questo, ne comprendono fino in fondo il valore. In una parola: uomini di Dio.