Mons. Mauro Parmeggiani “Dio è amore, Dio è misericordia”

Intervistiamo Mons. Mauro Parmeggiani Vescovo dal 3 luglio 2008 per la diocesi di Tivoli, nominato da Benedetto XVI ed ha ricevuto l’Ordinazione Episcopale il 20 settembre 2008 nella Basilica di San Giovanni in Laterano da parte di S.Em. il Card. Camillo Ruini.

Fra l’altro Mons. Parmeggiani E’ stato in precedenza Segretario particolare del Cardinale Camillo Ruini dal 1986 al 2003.

La società attualmente sta vivendo un momento di crisi spirituale e questo lo si vede dalle famiglie disastrate e dai giovani dispersi per strade cattive. Come può, la misericordia toccare queste situazioni?

Innanzitutto dobbiamo farla conoscere la misericordia di Dio, il Papa ci dice sempre di essere una chiesa in uscita. Noi facciamo tante iniziative belle dove la misericordia è sempre al centro di tutto quello che facciamo ma dobbiamo uscire per andare a cercare chi ha bisogno di amore, di misericordia e di Dio.

Dio è amore, Dio è misericordia!

Bisogna aiutare chi vive situazioni difficili, lontane dalla fede. Comunque dire che qualcuno è ateo per me è una definizione grande, forse ci saranno pure gli atei ma ne dubito.

Una volta incontrate queste persone che vivono una forma di neo paganesimo, di perdita del senso di Dio perché non c’è più la memoria di Dio, non c’è più un clima culturale che ci aiuta a credere, bisogna cercare queste persone, trovarle e annunciare loro la misericordia di Dio ascoltandoli, facendo discernimento trattando ogni situazione in maniera diversa e poi proporgli la soluzione migliore per arrivare verso la meta. Dio è la nostra meta, l’incontro e la comunione con Lui.

Intanto siamo curiosi sull’origine della sua vocazione. Come e quando Dio ha bussato alla sua porta e lo ha chiamato ad essere un suo pastore?

Nella mia vita se dovessi ricordare un giorno particolare di quando Dio è entrato nel mio cuore, faccio fatica.

“La vocazione è un dono ed un mistero che Dio dà ad una persona e non sai perché” diceva San Giovanni Paolo II. Sono nato in una famiglia dell’Emilia Romagna, nella terra di Don Camillo e Peppone, da una famiglia poco praticante però il desiderio di diventare sacerdote l’ho sentito nel cuore fin da giovane ragazzo.

Un giorno scappai da casa per andare ad una processione di Sant’Antonio, avevo 9-10 anni, sono stato sempre un bambino alto e robusto, ed il frate in quell’occasione, mi chiese di portare la croce.

Stetti tutto il giorno in processione, poi si fecero le dieci di sera e non ero ancora rientrato a casa, così mio padre mi trovò ancora in processione.

Forse fu proprio in quell’occasione che facendo il ministrante sentii per la prima volta, il desiderio vocazionale.

Questa chiamata l’accantonai e la misi da parte, poi divenni geometra ma dopo tempo, la chiamata al sacerdozio si ripresentò in parrocchia in una comunità viva dove c’era un parroco semplice ma molto buono, accogliente, che dava fiducia ai giovani.  Credo che la vocazione nasce dentro di te, quando Dio attraverso la comunità cristiana e il parroco che la guida ti dà fiducia, ti chiede qualcosa, t’insegna a pregare, ti trasmette la parola di Dio, ti propone dei ritiri spirituali e ti dà una direzione spirituale.

Così capisci cosa Dio vuole da te, ed a 19 anni sono entrato in seminario, a 25 anni sono diventato sacerdote.

Qual è il compito più difficile da svolgere per un Vescovo?

Sono due i compiti difficili: il primo è quello di discernere le situazioni che hai davanti, i casi che hai davanti, capire le persone e quello che ti dicono, se dicono la verità;

La seconda cosa terribile è decidere. Decidere sulle persone, sulle comunità, sulle situazioni e tante volte si sperimenta la solitudine della decisione, accompagnata solo dal Signore e dalla preghiera.

Un Vescovo se vuole tentare di fare meno danni possibili, deve passare molto tempo in preghiera, in ascolto di Dio per poi tirare le conclusioni migliori davanti a Dio con la sua coscienza, per il bene della persona o delle comunità o della diocesi intera.

Credo che un grande ruolo debba essere riconosciuto ai laici nella chiesa, che hanno un grande fiuto ed un grande senso della fede e ti possono aiutare a prendere le decisioni giuste e sagge.

Lei è assistente Ecclesiastico della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia. Qual è la potenzialità di evangelizzazione che hanno le confraternite di tutta Italia?

Potenzialmente sono un esercito. Tra le confraternite confederate, contiamo in Italia, oltre un milione d’iscritti che fanno un cammino di formazione cristiana e di esercizio non solo del culto ma anche della carità.

La grande forza che le confraternite hanno oggi è quella della trasmissione della fede. Vanno curate e bisogna far in modo che altri giovani entrino a far parte delle confraternite, affinchè non siano solo cose di anziani e poi che ci sia una trasmissione della fede tra gli anziani e i giovani.

Papa Francesco spesso cita un passo di Gioele che dice “I vostri anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni”.

I sogni degli anziani guardano più al passato per un futuro migliore, ma se riescono a trasmettere la fede ai giovani attraverso lo strumento della pietà popolare allora ci potrà essere un futuro grande anche per la trasmissione della fede dove possono contribuire le confraternite.

Bisogna stare attenti quando anziché della pietà popolare subentra il folclore ed entrano interessi economici. Il mio ruolo è quello di animare la formazione cristiana affinchè questo non avvenga.

Servizio di Rita Sberna

 

 

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