Il valore di un nonno o di una nonna nella nostra vita è incalcolabile. Tanto chi li ha avuti al proprio fianco fino alla maturità, quanto chi li ha persi nella prima infanzia e persino chi non li ha mai conosciuti, può godere della presenza dei propri nonni, che si perpetua oltre la morte, nelle immagini, nei ricordi e nei racconti di ha voluto loro bene. Spesso li apprezziamo di più dopo averli perduti. Ci indicano le nostre radici (che, volenti o nolenti, non riusciremo mai a rinnegare) e, al tempo stesso, la vecchiaia cui siamo destinati. I consigli di un nonno aiutano a dare la giusta dimensione a ogni cosa. Le persone anziane sanno guardare all’essenziale e, proprio perché non hanno più grandi conquiste né obiettivi materiali da raggiungere, sanno farti riscoprire il valore dell’affetto, dell’ascolto e dell’attenzione.
Il naturale ciclo della vita fa sì che, normalmente, in ogni famiglia si incrocino i destini di tre generazioni. Una società esclusivamente bi-generazionale, fatta solo di anziani e persone mature o di persone mature e bambini, risulterebbe come incompleta e, per molti versi, priva di senso. Eppure l’armonica compresenza trigenerazionale è proprio quanto le ideologie post-moderne, in modo più o meno deliberato, cercano di sradicare, con la loro naturale idiosincrasia verso il futuro, rappresentato dai giovani, e verso il passato, rappresentato dagli anziani, appiattite come sono su un eterno presente fatto di adulti mai cresciuti, che rifiutano sacrifici e responsabilità, e, al tempo stesso, vecchi dentro, privi di sogni e di ideali alti.
Nel caso specifico dell’anziano, si tende a rimuoverne la presenza nell’immaginario collettivo, vedendo in esso un “improduttivo” e un peso per la società. Si tende allora a relegare i nonni nelle case di riposo, quando non si degenera in deprimenti querelle tra figli e nipoti su chi debba caricarsi sulle spalle la loro cura in modo totale ed esclusivo. Atteggiamenti che sono il preludio di una mentalità eutanasica, tradottasi in legalizzazioni della “dolce morte”, con effetti dirompenti in particolare in paesi come la Svizzera, il Belgio o l’Olanda, da dove addirittura molti anziani fuggono per non essere “terminati” in caso di malattia grave (in barba a tutti i testamenti biologici).
Ciononostante, per molti secoli, tutte le civiltà più solide si sono rivelate quelle in cui l’anziano era considerato il saggio, nonché il depositario della memoria collettiva e delle tradizioni su cui una famiglia o una comunità erano fondate. Nei tempi antichi, comunque, nessuna civiltà ha nutrito riverenza e rispetto per gli anziani come quella giudaica: lo si evince non solo dall’età avanzatissima raggiunta da molti patriarchi e profeti ma soprattutto dal fatto che, spesso e volentieri, Dio ha chiamato persone di “età pensionabile” a realizzare cose grandi. A partire dal Padre dei Padri, Abramo che, oltretutto, concepisce un figlio con Sara (Gen 18,10), quando quest’ultima è in età sterile. Fatto analogo avviene con Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,5-25), che avranno un ruolo non secondario nelle circostanze della venuta al mondo del Messia. Lo stesso Gesù ha avuto dei nonni, Gioacchino e Anna, che, pur non citati nelle Scritture, sono tra i santi più venerati e amati. Fino a San Pietro, cui il Signore predice il martirio nella vecchiaia (Gv 21,18).
Facendo poi un salto in avanti di due millenni è sorprendente notare come gli ultimi tre pontefici abbiano tutti nutrito una sensibilità particolare verso la vecchiaia, non tanto per la fragilità e le attenzioni che essa comporta, quanto come condizione privilegiata di sguardo verso l’eternità.
Nell’ultimo Angelus del suo primo anno di pontificato (31 dicembre 1978), l’ancor giovane San Giovanni Paolo II invitava i giovani a non trattare gli anziani “come se fossero ormai inutili” ed esortava i fedeli a vivere in uno “spirito di avvicinamento delle generazioni”. Ventuno anni più tardi, lo stesso pontefice polacco, nella sua ormai celebre Lettera agli anziani (3 ottobre 1999) ricordava che “ogni età ha la sua bellezza e i suoi compiti” e che “l’età avanzata trova […] nella parola di Dio una grande considerazione al punto che la longevità è vista come segno della benevolenza divina”. La vecchiaia, aggiungeva Wojtyla, si propone come un “tempo favorevole” per il “compimento dell’umana avventura”, in cui si può “meglio cogliere il senso della vita” e raggiungere la “sapienza del cuore”.
Da parte sua Benedetto XVI rilevò come, nelle culture del passato, i nonni fossero “testimoni di una storia personale e comunitaria che continuava a vivere nei loro ricordi e nella loro saggezza”, indicandoli come coloro dalla cui presenza ripartire per far rifiorire l’istituzione della famiglia: “Non si può, infatti, progettare il futuro senza rifarsi ad un passato carico di esperienze significative e di punti di riferimento spirituale e morale”, affermò il papa oggi emerito, durante un’udienza ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (5 aprile 2008).
Se da un lato, sia Wojtyla che Ratzinger avevano a loro tempo denunciato la diffusione dell’eutanasia, in quanto minaccia al diritto alla vita fino alla morte naturale, il loro successore, papa Francesco, è andato più in là, soffermandosi in varie occasioni sul pericolo di una “eutanasia nascosta”, rappresentata dall’abbandono degli anziani al proprio destino, al loro “scarto” dalla società. Eppure, ha spesso affermato Bergoglio, i nonni sono le “radici” della società stessa, così come i giovani ne rappresentano le “ali”, incoraggiando così una rinnovata alleanza tra le generazioni, in piena continuità con i predecessori.