Era non vedente da quando aveva 23 anni: insegnante e formatrice, ha fondato il Centro aiuto alla vita (Cav) presso la clinica Mangiagalli di Milano, per sostenere le donne che vogliono portare avanti la gravidanza tra mille difficoltà.
Proprio questo grande impegno, le ha fatto meritare il prestigioso Ambrogino d’oro, il premio che ogni anno viene attribuito ai milanesi che si sono distinti in vari campi.
Lei è Paola Bonzi, morta il 9 agosto 2019.
Paola andiamo un po’ indietro con gli anni. Le va di raccontarci come si è ammalata agli occhi?
Si volentieri, anche se il momento è stato difficile. Avevo 23 anni e all’improvviso si è sviluppata una strana malattia sconosciuta che si è presa la mia possibilità di guardare il mondo, soprattutto i miei figli e tutti gli altri bambini.
La cosa che mi colpisce è constatare come una giovane di 23 anni all’improvviso trovandosi senza vista, si ritrova ad essere anche una madre e a crescere due figli. Dove ha trovato la forza?
Per me la maternità è stata sempre il grande obbiettivo della mia vita. Occuparmi dei miei figli suscita ancora in me grandi emozioni.
Lei ha dedicato tutta la sua vita (tra le altre cose) all’insegnamento religioso presso vari istituti. In tutti questi anni ha notato nei giovani un interesse nei confronti della disciplina religiosa?
Non è proprio così. Per alcuni anni ho insegnato ad alunni con ritardo mentale.
Poi, con i rimasugli di vista rimasti, ho dovuto abbandonare questo campo e dopo un po’ di tempo, quando i miei bambini hanno iniziato la scuola elementare, ho ripreso l’insegnamento. Non potevo più correggere compiti, non potevo allontanarmi troppo da casa e l’insegnamento della religione ha sempre creato in me grandi aspettative.
In questi ultimi tempi non sono i giovani ad essere cambiati ma le loro famiglie, dove la pratica religiosa non riveste particolare importanza.
I giovani sono lasciati soli alla ricerca della spiritualità e della Trascendenza.
La sua seconda gravidanza è stata difficile. Perché?
I miei figli hanno solo 20 mesi di differenza, per cui la mia seconda gravidanza è stata vissuta contemporaneamente alla crescita della mia prima bambina e per una madre ciò non è mai facile, soprattutto quando ci sono patologie importanti.
E’ per questo motivo che ha deciso 35 anni fa, di fondare il CAV (centro aiuto alla vita) presso la clinica Mangiagalli di Milano?
Non esattamente. Ciò che mi ero riproposta alla nascita del secondo figlio si è poi concretizzato una quindicina circa di anni dopo, ben ricordando il desiderio, provato in gravidanza, di essere ascoltata e accolta. Le donne incinte spesso vivono uno stato di solitudine interiore, che io ho voluto condividere.
Quali sono state le difficoltà che ha incontrato in tutti questi anni?
Le difficoltà più grandi sono state costituite dall’indifferenza, dal perbenismo, dall’ideologia, dal fanatismo e dalla noncuranza di tante persone che non hanno mai sentito come proprio il problema di dare la Vita, colorandolo anche di tinte fosche che nascondono la verità.
In base alla sua esperienza, quali sono le motivazioni che spingono la donna ad interrompere la gravidanza?
In questo momento particolare le donne interrompono la loro maternità soprattutto per motivi di povertà e di solitudine. Farebbero in un modo ben diverso se questo loro stato suscitasse la solidarietà di tante persone che non conoscono il problema di mettere insieme il pranzo con la cena.
Quanti bambini sono nati grazie al CAV Mangiagalli di Milano?
Fino ad oggi, al nostro Centro di Aiuto alla Vita, sono nati 22.347 bambini, grazie al coraggio delle loro madri, che si sono sentite accompagnate e aiutate, anche concretamente.
C’è qualche episodio che le piace ricordare in maniera particolare?
Le storie sono state tante, molte anche raccontate sulle pagine di Facebook e nei miei libri “Oggi è nata una mamma”, “Un giorno dopo l’altro, un bambino dopo l’altro” e “Per un bambino”. A questi racconti vi rimando.
Le donne che purtroppo hanno abortito, sono donne che poi vivono il resto della loro vita tormentate da sensi di colpa oppure cercano di mettere da parte l’episodio ignorandone il problema?
Naturalmente non si può generalizzare. In una trasmissione televisiva a cui partecipavo ho sentito dire da una signora: “Il bambino che non ho voluto sentir piangere nella culla, me lo sento piangere dentro tutte le notti”.
E di testimonianze simili abbiamo alcune lettere.
Come vede la situazione dei CAV in Italia? Andrebbero migliorati sotto il punto di vista della formazione e dei volontari?
La formazione è sempre fondamentale (consulenti familiari, educatori, psicologi, assistenti sociali, counselor) ma, senza la partecipazione del cuore, risulta cosa vana.
Chi può prendere parte ad un CAV e quali sono i principali obiettivi?
Gli operatori dei CAV sono generalmente persone di formazione umanistica e i loro obbiettivi sono quelli di centrare lo sguardo sulla persona che incontrano nel “qui e ora”, cercando di fornire risposte alle loro esigenze primarie.
Cosa pensa della legge che qualche mese fa è stata approvata a New York, con la quale si permetterebbe alla donna di effettuare l’interruzione di gravidanza anche al nono mese e il giorno prima del presunto parto?
So che può sembrare molto strano, ma per me un bambino al nono mese è lo stesso bambino del nono giorno.
Certo, siamo esseri umani e quindi commettiamo l’errore di provare emozioni e sentimenti solo per ciò che vediamo, sentiamo, tocchiamo, come si può fare con una gravidanza molto avanzata.
Servizio di Rita Sberna