Papa Francesco: Giobbe, tenace attesa della promessa

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Nella vita di ciascuno di noi capitano eventi, periodi, momenti, in cui sembra che Dio si stia allontanando. Apparentemente tutto va male, non troviamo più vie d’uscita. Questo è esattamente quanto ci viene presentato nel libro di Giobbe, cui storia viene commentata oggi da Papa Francesco, nella catechesi durante l’udienza.

In questo sostanzioso libro dell’Antico Testamento, ci parla di un potente testimone della fede che non accetta una “caricatura” di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto. Papa Francesco ci suggerisce che la sua storia va letta senza pregiudizi, senza luoghi comuni, per cogliere la forza del grido di Giobbe. Ci farà bene metterci alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto.

Giobbe è un uomo che man mano perde tutto quello che nella sua vita contava: perde le ricchezze, perde la famiglia, perde il figlio e perde anche la salute e rimane lì, piagato, in dialogo con tre amici, poi un quarto, che vengono a salutarlo (…) Questo dialogo di Giobbe con i suoi amici è come una strada per arrivare al momento che Dio dia la sua parola Giobbe viene lodato perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio. 

Giobbe si rivela diverso dai più. Di fronte alle disgrazie non parla male di Dio. Giobbe ha parlato bene, anche quando era arrabbiato e anche arrabbiato contro Dio, ma ha parlato bene, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un “Persecutore”, Dio è un’altra cosa. E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici. 

Tutti abbiamo conosciuto questi casi, o su di noi stessi o nelle vite degli altri. Situazioni spesso aggravate dalla scarsità di risorse economiche. In certe congiunture della storia, osserva il Santo Padre, questi cumuli di pesi sembrano darsi come un appuntamento collettivo. È quello che è successo in questi anni con la pandemia di Covid-19 e che sta succedendo adesso con la guerra in Ucraina.

E domanda il Papa: Possiamo giustificare questi “eccessi” come una superiore razionalità della natura e della storia? Possiamo benedirli religiosamente come giustificata risposta alle colpe delle vittime, che se li sono meritati? No, non possiamo. Esiste una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male, diritto che Dio concede a chiunque, anzi, che è Lui stesso, in fondo, a ispirare. E questa è la vera preghiera: il grido dell’uomo.

Il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta, e Dio ascolta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza. E a Dio non piace quella enciclopedia – chiamiamola così – di spiegazioni, di riflessione che fanno gli amici di Giobbe. Quello è succo di lingua, che non è giusto: è quella religiosità che spiega tutto, ma il cuore rimane freddo. A Dio non piace, questo. Piace più la protesta di Giobbe o il silenzio di Giobbe.

Quanta gente, ci ricorda il Papa, quanti di noi dopo un’esperienza un po’ brutta, un po’ oscura, dà il passo e conosce Dio meglio di prima! Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita. I vecchi ne hanno viste tante nella vita! E hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini. Uomini di legge, uomini di scienza, uomini di religione persino, che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore. Si sbagliano!

Nella tarda età della vita, se vissuta nella fede, si verifica ciò che è accaduto a Giobbe. Si converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio – c’è un cambiamento, dal risentimento per la perdita verso una tenacia per seguire la promessa di Dio – questi vecchi sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male. Lo sguardo dei credenti che si rivolge al Crocifisso impara proprio questo. Quando questo accade, sgorgano dal cuore le parole simili a quelle di Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso ti hanno visto i miei occhi”. Questi vecchi assomigliano a quella pace del figlio di Dio sulla croce che si abbandona al Padre.