Nella lettura continuativa della Lettera ai Galati, nelle udienze precedenti il Papa ci ha parlato di come l’autore richiamava i suoi interlocutori alla consapevolezza della libertà acquisita con la morte e risurrezione di Cristo. Oggi prosegue l’approfondimento di questo importante argomento, con un’apertura particolare.
Il primo aspetto di questa apertura, è l’accoglienza. Gesù non è morto per un popolo solo, e San Paolo ci teneva a sottolinearlo. Questa novità, ai suoi tempi come del resto ai nostri, si scontrava con la palese opposizione. I detrattori di Paolo – questi fondamentalisti che erano arrivati lì – lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per “piacere a tutti”, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. E la risposta arriva prontamente e con grande coraggio: per Dio non c’è più giudeo o pagano.
In questo senso l’Apostolo delle genti cerca di essere molto chiaro: non è la diversità culturale che egli rifiuta, ma solo ed esclusivamente ciò che si oppone alla proclamazione del cuore del Vangelo, cioè alla dignità dei Figli di Dio, che tutti abbiamo ricevuto col battesimo. Così mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse.
La tentazione di ritenere migliore ciò che ciascuno di noi sente profondamente proprio, c’è e ci sarà sempre. Con essa la spinta di voler “convertire” gli altri ai nostri modi di fare, pensare e vivere la fede. Mentre la chiamata alla libertà che abbiamo ricevuto, è proprio l’opposto, cioè fermento della liberazione. Papa Francesco ci ricorda in questo senso che molti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! La uniformità come regola di vita non è cristiana! L’unità sì, l’uniformità no! Proprio perché il primo posto lo si dà alla libertà cristiana, anche il cristianesimo sa inculturarsi.
La varietà unita: così definisce oggi il Pontefice lo spirito che dovrebbe animarci come cristiani. E questo si oppone direttamente all’uniformità. L’espressione risulta anche illuminante per ricordarci che l’aggettivo “cattolica” che ci definisce come Chiesa, sottolinea proprio questa dimensione: apertura universale.
Infine – ci ricorda Papa Francesco – la cultura, (…) è per sua stessa natura in continua trasformazione. E aggiunge: la libertà della fede cristiana – la libertà cristiana – non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce ma sempre con la stessa natura. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. La libertà dunque non solo non si fa possedere, ma anzi, per sua stessa natura opera per liberare, oggi e sempre. Incarnare questa logica resta il nostro compito nel mondo contemporaneo.