Papa Francesco: società della stanchezza e sapienza degli anziani

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Ci accostiamo oggi, guidati dal Santo Padre, ad un libro che può suscitare molte perplessità. Quasi tutti conosciamo Qoelet e il suo “tutto è vanità”. A primo colpo d’occhio percepiamo tanta tristezza. Nella catechesi dell’udienza odierna, ci viene ricordata questa figura, oscillante tra il senso e il non-senso, per mostrarci una splendida via d’uscita dalle situazioni di scoraggiamento. E cioè il timore di Dio e il rispetto dei suoi comandamenti.

La prima tentazione, contro la quale veniamo messi in guardia da Papa Francesco, è la via dell’indifferenza, che diventa spesso molto realistica, quando siamo immersi nel continuo susseguirsi dei contrari. Sorgono in noi domande come queste: I nostri sforzi hanno forse cambiato il mondo? Qualcuno è forse capace di far valere la differenza del giusto e dell’ingiusto? Sembra che tutto questo è inutile: perché fare tanti sforzi?

In ogni età della vita siamo esposti a questo pensiero, tuttavia – ci dice il Papa – la vecchiaia rende quasi inevitabile questo appuntamento col disincanto. Il disincanto, nella vecchiaia, viene. E dunque la resistenza della vecchiaia agli effetti demoralizzanti di questo disincanto è decisiva: se gli anziani, che hanno ormai visto di tutto, conservano intatta la loro passione per la giustizia, allora c’è speranza per l’amore, e anche per la fede.

Occorre ricordare che questa demoralizzazione ci toglie la voglia di fare. Una presunta “verità”, che si limita a registrare il mondo, registra anche la sua indifferenza agli opposti e li consegna, senza redenzione, al flusso del tempo e al destino del niente. E per la nostra cultura moderna, che alla conoscenza esatta delle cose vorrebbe consegnare praticamente tutto, l’apparizione di questa nuova ragione cinica – che somma conoscenza e irresponsabilità – è un contraccolpo durissimo. Infatti, la conoscenza che ci esonera dalla moralità sembra dapprima una fonte di libertà, di energia, ma ben presto si trasforma in una paralisi dell’anima

Papa Francesco ci pone Qoelet come esempio di come smascherare questa tentazione. I monaci della più antica tradizione cristiana (…) la chiamavano accidia (…), la resa alla conoscenza del mondo senza più passione per la giustizia e per l’azione conseguente. Questo vuoto di senso e di forze aperto da questo sapere, che respinge ogni responsabilità etica e ogni affetto per il bene reale, non è innocuo. Non toglie soltanto le forze alla volontà del bene: per contraccolpo, apre la porta all’aggressività delle forze del male. 

E l’osservazione sulle condizioni del nostro ambiente di vita, diventa inevitabile. Di fatto, con tutto il nostro progresso, con tutto il nostro benessere, siamo davvero diventati “società della stanchezza”. Pensate un po’ a questo: siamo la società della stanchezza! Infatti dovevamo porre un limite invalicabile alla pace, e vediamo susseguirsi guerre sempre più spietate verso persone inermi. La scienza progredisce, naturalmente, ed è un bene. Ma la sapienza della vita è tutta un’altra cosa, e sembra in stallo.

Quale il ruolo degli anziani, in tutto questo? La vecchiaia può imparare dalla saggezza ironica di Qoelet l’arte di portare alla luce l’inganno nascosto nel delirio di una verità della mente priva di affetti per la giustizia. Gli anziani ricchi di saggezza e di umorismo fanno tanto bene ai giovani! Li salvano dalla tentazione di una conoscenza del mondo triste e priva di sapienza della vita (…) Noi abbiamo una missione molto grande nel mondo. Ma, per favore, non bisogna cercare rifugio in questo idealismo un po’ non concreto, non reale, senza radici – diciamolo chiaramente: nelle stregonerie della vita.