Polonia anti-russa: Wojtyla sarebbe stato d’accordo?

Mikhail Gorbaciov e Giovanni Paolo II
Lo storico incontro tra Mikhail Gorbaciov e Giovanni Paolo II (1 dicembre 1989)

La Polonia è probabilmente il più anti-russo dei Paesi europei. Nei giorni scorsi Varsavia ha iniziato a dispiegare fortificazioni al confine con l’oblast di Kaliningrad e sta ampliando le sue misure di sicurezza preventive e difensive al confine con la Bielorussia e la Russia. L’annuncio è stato fatto all’indomani della visita del presidente Usa Joe Biden a Varsavia e alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Assieme ai Paesi baltici e – per ragioni storiche completamente diverse – al Regno Unito, la Polonia è sicuramente il “falco” anti-russo per definizione.

L’inimicizia tra Varsavia e Mosca ha radici molto lontane e risiede nel forte identitarismo polacco che si è scontrato a più riprese con il panslavismo russo, che, periodicamente riemerge come un fiume carsico. I polacchi sono il tipico esempio di popolo fieramente patriottico ma, non per questo nazionalista, né tantomeno imperialista. Pesano, in parte l’appartenenza religiosa cattolica, in contrapposizione con gli ortodossi dell’Est ma, soprattutto i quarant’anni di egemonia sovietica, durante i quali l’orgoglio della resistenza clandestina, dei samizdat, fino a sfociare con l’eroica e cruciale esperienza di Solidarnosc.

Lo stesso San Giovanni Paolo II è stato icona e baluardo dell’anticomunismo, in un’epoca in cui opporsi al “Golia” sovietico era considerato una partita persa. Qual era, tuttavia, l’approccio di Karol Wojtyla nei confronti dell’ingombrante vicino russo? Il santo papa polacco, in primo luogo, era un convinto ecumenista e già nel suo primo viaggio pontificio nella sua patria (1979), aveva messo in luce il contributo determinante dei popoli dell’Europa orientale alle comuni radici cristiane. Uno dei motivi conduttori del magistero wojtylano fu quello dell’Europa dei “due polmoni”: quello latino-occidentale e quello greco-orientale, che tradotti in termini cristiani andavano a combaciare con la tradizione cattolica e quella ortodossa, separati da un millennio ma inevitabilmente fratelli, destinati un giorno alla ricongiunzione.

Nel 1982, Wojtyla scrisse un’accorata lettera all’allora leader sovietico Leonid Breznev, negli anni in cui Lech Walesa era in carcere, la Polonia intera era ancora sotto choc per la legge marziale e da Mosca si vociferava di una possibile invasione dell’armata rossa a Varsavia. “Questa nazione è stata, nel settembre del 1939, la prima vittima di una aggressione alle origini di quel terribile periodo di occupazione che è durato fino al 1945 – scrisse in quell’occasione il Papa –. Per tutta la seconda guerra mondiale i polacchi sono rimasti al fianco dei loro alleati, combattendo su tutti i fronti, e la furia distruttiva di questo conflitto è costata alla Polonia la perdita di quasi sei milioni dei suoi figli, vale a dire un quinto della sua popolazione prebellica”. Custodendo nel proprio cuore la preoccupazione per la sua patria, Giovanni Paolo II implorava così Breznev: “Le chiedo di fare il possibile affinché tutto quello che, secondo un’opinione assai diffusa, costituisce la causa di questa preoccupazione, venga rimosso”, scrisse, confidando che il Cremlino potesse “fare tutto ciò che è in suo potere per dissipare l’attuale tensione, affinché l’opinione pubblica politica sia rassicurata nei riguardi di questo problema tanto urgente e delicato”.

La perentorietà con cui il santo pontefice polacco affrontò a viso aperto uno dei suoi più agguerriti avversari, era frutto di un amore smisurato non solo per la propria terra ma per l’Europa intera. Da slavo, Giovanni Paolo II aveva a cuore la sorte di tutti i popoli slavi. Al punto che lui stesso volle dedicare un’intera enciclica, la Slavorum Apostoli (1985) ai Santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dell’Europa dell’Est e proclamati compatroni d’Europa dallo stesso Giovanni Paolo II già nel 1980. Un uomo di frontiera, Karol Wojtyla, il più orientale dei cattolici europei e, al tempo stesso, il più occidentale degli slavi. Un grande gesto di distensione del “papa anticomunista” fu quello della restituzione dell’icona della Madonna di Kazan agli ortodossi russi nel 2004.

I rapporti tra il Papa polacco e l’ex Unione Sovietica sono stati ben descritti dallo storico Jan Mikrut, docente alla Pontificia Università Gregoriana e autore del saggio Giovanni Paolo II e la Chiesa cattolica in Urss e nei Paesi sorti dalla sua dissoluzione (Gabrielli Editore). “L’importanza di Giovanni Paolo II per la Chiesa in Unione Sovietica è dimostrata dalle sue iniziative, dai documenti, dalle encicliche, ma anche dimostrata dai fatti con la ripresa dei rapporti diplomatici tra il Vaticano, l’Unione Sovietica e i Paesi che sono succeduti – ha raccontato due anni fa Mikrut in un’intervista a Vatican News –. I primi avvicinamenti si hanno nel 1988 quando la Chiesa ortodossa ha celebrato solennemente il millesimo anniversario dal battesimo della Rus di Kiev, alla quale prese parte anche una delegazione ufficiale del Vaticano. Nello stesso anno Michail Gorbaciov annunciò la glasnost e la perestroika nella sua politica. Un cambiamento epocale è legato alla visita di Gorbaciov in Vaticano il 1 dicembre 1989. Giovanni Paolo II era commosso da questa visita, essendo consapevole che si trattava di un alto rappresentante del sistema sovietico che da decenni, in modo raffinato, organizzava la persecuzione della Chiesa e della vita religiosa dei cattolici sul territorio”.

San Giovanni Paolo II è stato infine il primo pontefice a desiderare fortemente una visita pastorale in Russia: un sogno rimasto irrealizzato anche per i suoi successori, anche a causa della persistente ostilità dei vertici delle chiese ortodosse. Qualcosa di consistente di quella riconciliazione ecumenica è andato disperso negli anni successivi, come si è visto anche nel raffreddamento dei rapporti tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill. Se Mosca è stata definita la terza Roma, tuttavia, il suo ruolo nella storia della salvezza è ancora tutto da compiersi. Se la Vergine Maria a Fatima ha chiesto la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato, vuol dire che questo immenso e misterioso Paese è incastonato in modo imperscrutabile nei piani di Dio. A distanza di un anno dal tragico conflitto con l’Ucraina, rimane dunque una certezza: la pace con la Russia è la strada forse più difficile ma rimane l’unica strada possibile.