La sfiorata tragedia a bordo di un pullman scolastico, capitata lo scorso 20 marzo nei pressi di San Donato Milanese, stimola due pensieri complementari. Il primo, più immediato e più lieto: anche quando il Male si scatena, può scaturirne un Bene più grande. Il secondo pensiero è dal retrogusto amaro: gli uomini, a volte, sono così stolti da gettare alle ortiche una storia a lieto fine all’insegna dell’eroismo e della pace, dilapidandola in inopportune diatribe a sfondo politico.
Senza togliere nulla al dodicenne egiziano Rami, è evidente che gli studenti eroici sono stati più d’uno: oltre a lui, si sono distinti i suoi coetanei Adam, di origini marocchine, e Ricky. Mentre i primi due hanno chiamato i carabinieri, il terzo ha recuperato per primo il suo cellulare, riuscendo a liberarsi dei lacci con cui l’autista-sequestratore l’aveva legato, così come aveva fatto a tutti gli altri. A detta dei testimoni del terrificante episodio, il 46enne Ousseynou Sy, di origine senegalese ma cittadino italiano da quindici anni, aveva fermato il pullman ed era riuscito a immobilizzare tutti i passeggeri, spiegando poi il motivo della sua “vendetta”: troppi morti africani in mare, tra cui, a suo dire, tre sue figlie, perite in uno dei tanti naufragi nei viaggi della speranza da una sponda all’altra del Mediterraneo. Un racconto, quello di Sy dopo l’arresto, pieno zeppo di contraddizioni. Oltretutto, l’uomo era stato assunto dalla società di trasporti Autoguidovie, appaltatrice del Comune di Crema, nonostante i suoi precedenti penali per molestie sui minori (!) e guida in stato d’ubriachezza.
La vicenda di San Donato Milanese rappresentava un’occasione da non perdere, nel senso in cui, essendoci come protagonisti un immigrato “cattivo” ed altri “buoni”, avrebbe potuto gettare una luce di oggettività sulla situazione dei migranti nel nostro Paese. La sventata tragedia avrebbe potuto, cioè, rimarcare la compresenza di immigrati virtuosi, al fianco di altri immigrati che, al contrario, delinquono, mostrando una realtà complessa e sfaccettata, ben difficile da giudicare secondo i parametri dicotomici della xenofobia o dell’accoglienza a tutti i costi. Invece no. Esaurito il primo momento di commozione, è immediatamente subentrata la contesa politica: dare o no la cittadinanza italiana a Rami? Si è riacceso il dibattito sullo ius soli e, con esso, vecchie ruggini tra i partiti. Per non parlare di un’altra controversia non nuova: la presenza strumentale dei minori in TV per rilanciare la propaganda in materia di immigrazione. A ciò si sono aggiunte le dichiarazioni sferzanti del piccolo Rami (sincere o indotte da qualcuno?) dirette al Ministro degli Interni, Matteo Salvini, che poi ha annunciato il conferimento straordinario della cittadinanza italiana al ragazzo d’origine egiziana, forse più in segno di distensione verso gli alleati del M5S, che per vera convinzione. Tirando le somme, comunque, può solo destare rammarico, il fatto che la contrapposizione ideologica abbia messo in secondo piano la vicenda umana, che, ancora una volta è stata utilizzata per dividere, anziché unire.
A passare in secondo piano, è stato anche un risvolto – a nostro avviso non così marginale – di questa storia. Guglielmo, uno dei ragazzi sequestrati sul pullman, al momento della fuga dal mezzo incendiato, ha iniziato a gridare: “Ti amo, Dio ti amo”. Compagni e insegnanti erano convinti stesse dicendo: “Ti amo, io ti amo”, quasi ad evocare una coetanea di cui era innamorato. Invece, quell’esclamazione era proprio un moto di ringraziamento al Signore. “Sul pullman eravamo tutti disperati e anch’io ho voluto fare la mia preghiera e quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata, quindi ho voluto ringraziare Dio e ho urlato Dio ti amo”, ha dichiarato il ragazzo intervistato dalle https://www.iene.mediaset.it/video/terrore-bus-fiamme-ousseynou-sy-dio-ti-amo_355799.shtml. La cosa ha evidentemente stupito tutti i presenti, figli di un mondo in cui Dio è uno sconosciuto o forse si preferisce non nominarlo, per indifferenza, per ignoranza o per paura del giudizio altrui. Allora, questo particolare suscita una domanda (o forse, per altri, una certezza): e se il vero “merito” per il lieto fine di questa storia, con rispetto parlando per i ragazzi e i carabinieri, fosse di qualcun Altro?