Quand’è che il lavoro nobilita l’uomo?

Quand’è che il lavoro nobilita l’uomo?

Quando si vuol “rompere il ghiaccio” tra sconosciuti, la domanda di rito solitamente è: “Che #lavoro fai?”. Il lavoro è quasi sempre il tema centrale di tutte le campagne elettorali, dei dibattiti televisivi, oggetto principale delle discussioni tra la gente comune. Eppure, mai come in quest’epoca, il lavoro è stato snaturato, vituperato, fatto oggetto di demagogia. Nel secolo della precarietà, della disoccupazione giovanile, della flessibilità, del job act, dei voucher, dei lavori a progetto, della competitività e della globalizzazione, spicca l’assordante silenzio degli uomini di cultura che, negli ultimi due secoli, avevano costantemente monitorato la questione sociale, non sempre offrendo soluzioni efficaci o genuine ma riservando comunque un’attenzione rilevante al problema.

L’unica istituzione ancora in grado di fornire spunti originali e sempre attuali a questa tematica è la Chiesa Cattolica. Depositaria della propria saggezza bimillenaria, la Chiesa ha elaborato una Dottrina Sociale, in grado di affrontare a testa alta le sfide di ogni epoca storica, proponendo visioni non utopiche ma, almeno in parte, suggerite da modelli concreti e virtuosi: dalla sussidiarietà all’economia di comunione, dal microcredito alle imprese sociali.

Se posta a confronto con le varie dottrine laiche che si sono succedute nel corso della modernità, la concezione del lavoro secondo la Dottrina Sociale della Chiesa è la più equilibrata di tutte: il lavoro non è un idolo, né è mai fine a se stesso. Non è uno strumento di dominio dell’uomo sull’uomo, bensì un mezzo adatto a nobilitarlo e a porlo a servizio degli altri. Inoltre, mentre i pagani ponevano l’attività intellettuale su un piano superiore rispetto a quella manuale, il cristianesimo sancisce la pari dignità tra i due ambiti. Gesù, del resto, è stato un falegname, così come lo era San Giuseppe, suo padre putativo, non a caso divenuto patrono dei lavoratori. È altamente significativo anche il fatto che l’incontro con i primi quattro Apostoli avvenga nel pieno della loro attività professionale e che Gesù dimostri subito di avere fortemente a cuore la difficoltà di Simon Pietro nella pesca (cfr Lc 5,1-11)

Non staremo qui a citare le decine e decine di richiami di papa Francesco sull’“economia che uccide” e che “scarta” gli elementi apparentemente improduttivi della società, a partire dagli anziani e dai giovani, condannando i primi alla solitudine e i secondi all’insensatezza. La denuncia delle logiche rapaci, edonistiche e ipercompetitive dell’economia globale, che Bergoglio porta avanti già da prima della sua elezione a pontefice, avvengono nella sequela delle tante encicliche sociali, succedutesi dalla Rerum novarum (1891) di Leone XIII ad oggi.

Giova ricordare, a tal proposito, un documento relativamente poco conosciuto ma assai prezioso e lungimirante: la Laborem exercens (1981). Questa enciclica di San Giovanni Paolo II, pubblicata nel 90° anniversario della Rerum novarum, da un lato, attualizza il messaggio del documento leonino, dall’altro, anticipa molte delle osservazioni sistematizzate dieci anni dopo dallo stesso Wojtyla nella Centesimus annus (1991).