Tutto iniziò con il beato Paolo VI. Fu il pontefice bresciano a “battezzare” l’ecumenismo moderno, uno dei frutti più evidenti e palpabili del Concilio Vaticano II. Al decreto conciliare Unitatis redintegratio (1964), seguì, due anni dopo, lo storico incontro tra il Vescovo di Roma e l’allora arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey (1966). Nel 1976, quando l’ecumenismo tagliava il traguardo del suo primo decennale, papa Montini, ricevendo una delegazione della Federazione Luterana, ribadì che gli obiettivi finali di quell’amicizia e di quel dialogo sarebbero sempre stati “il ristabilimento della piena comunione ecclesiale”. Pur prendendo atto delle “differenze nell’interpretazione della Scrittura” tra la Chiesa di Roma e quelle riformate, Paolo VI non mancava di sottolineare che la via maestra verso l’unità era essenzialmente nel “vivere in coerenza con il Vangelo”.
Ulteriori passi in avanti furono compiuti durante il pontificato di San Giovanni Paolo II, primo papa ad ‘aprire’, sia pure molto prudentemente, sulla figura di Lutero stesso. Nel 1983, 500° anniversario della nascita del primo riformatore, il pontefice polacco, da un lato, ricordava come il nome di Lutero fosse stato identificato con l’“origine di profonde divisioni ecclesiali”. Sollecitando una “riflessione critica sulla molteplice eredità di Lutero”, Wojtyla sottolineava comunque la “bruciante passione” con cui l’ex monaco agostiniano “era sospinto dall’interrogativo sulla salvezza eterna”.
Sei anni più tardi, durante la sua visita in Danimarca, Giovanni Paolo II confermò la linea della ‘distensione’: “Il desiderio di ascoltare nuovamente la parola del Vangelo e di convincersi della sua veridicità che animava anche Lutero deve guidarci a cercare il bene negli altri, a donare il perdono, e a rinunciare a visioni che sono in contrasto e nemiche della fede”, disse in quell’occasione. Parole, quelle di Wojtyla, che destarono l’entusiasmo di Repubblica che arrivò a titolare, in modo enfatico e non veritiero: “Il Papa assolve Martin Lutero. La scomunica è decaduta” (Pare di leggere in quelle parole la stessa euforia irrealistica con cui, un quarto di secolo dopo, Eugenio Scalfari, fondatore del medesimo quotidiano, arrivò a asserire che papa Francesco aveva addirittura “abolito il peccato”).
A metà del decennio successivo, nel dicembre 1994, l’Adn Kronos, fornì un’indiscrezione riguardo a un documento elaborato dalla Commissione Ecumenica mista e dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani in merito ad un “comune accordo” sul “principio della giustificazione della fede”. Tale documento sarebbe stato promulgato soltanto nel 1999 sotto forma di dichiarazione congiunta, tuttavia l’agenzia si affrettò a titolare: “Lutero: Vaticano, pronta la riabilitazione”.
Da parte sua, papa Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Germania del 2011, disse: “Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura”. Va ricordato, oltretutto, che uno dei più grossi meriti del sofferto pontificato ratzingeriano è stata il ritorno alla comunione con Roma di alcune comunità luterane e anglicane.
Venendo ai nostri giorni, papa Francesco ha iniziato a preparare la strada per il 500° anniversario della Riforma, auspicando una “attenta e onesta rivalutazione delle intenzioni della Riforma e della figura di Martin Lutero”. In seguito ha sollecitato “approfondimenti seri sulla figura di Lutero e la sua critica contro la Chiesa del suo tempo ed il papato” ai fini di “superare quel clima di mutua sfiducia e rivalità che per troppo tempo in passato ha caratterizzato i rapporti tra cattolici e protestanti”. Secondo Bergoglio le intenzioni di Martin Lutero non erano “sbagliate”, sebbene “forse alcuni metodi non erano giusti”, tuttavia la sua ribellione andrebbe compresa alla luce della Chiesa del suo tempo che “non era proprio un modello da imitare”, in ragione della “mondanità”, e dell’“attaccamento ai soldi e al potere”.
Che considerazioni possiamo trarre da questi 50 anni di cammino ecumenico? Cosa è cambiato nel magistero dei papi fino ad oggi avvicendatisi? Davvero ci avviamo verso la “riabilitazione” di Lutero o, come affermano i più apocalittici, verso la “protestantizzazione” della Chiesa?
Il dato certo è che il cammino ecumenico, tanto con i protestanti quanto con gli ortodossi, è un fatto ormai irreversibile e risponde alla preghiera di Gesù Cristo per la sua Chiesa nascente (cfr. cfr Gv 17,21). Pertanto, la speranza di tutti i papi del post-Concilio è che un giorno, questa generazione o una delle prossime non parlerà più di cattolici, protestanti o ortodossi ma semplicemente di cristiani. Con queste premesse, vanno distinti un ecumenismo buono e corretto da un ecumenismo falso e dannoso. La Chiesa di Roma non sta, cioè, cercando un “compromesso al ribasso”, per un cristianesimo ridotto a quei “minimi comuni denominatori” che non diano fastidio all’interlocutore, quindi depauperato dei suoi elementi più vividi e radicali. Si tratta invece di operare una “sintesi al rialzo”, in cui ciascuna delle chiese andrà incontro all’altra con l’obiettivo di un arricchimento reciproco, senza rinunciare all’identità di base del cristianesimo stesso. In altre parole, una vera Chiesa riconciliata non potrà mai rinunciare ad elementi propriamente cattolici quali sono, tra gli altri, i sacramenti, la dottrina della transustanziazione, il primato petrino, il culto di Maria e dei santi. Al tempo stesso, ci sono elementi costruttivi della riforma protestante che, con il tempo – specie dopo il Concilio – sono stati assorbiti anche dal cattolicesimo: la Parola di Dio che assume un ruolo di primo piano, con la traduzione della Bibbia nelle varie lingue nazionali; la diversificazione della liturgia, senza mai rinnegare del tutto quella tradizionale in latino; il ruolo più attivo dei laici.
Nel corso di questo cinquantennale cammino, non privo di ostacoli e, talora, di incomprensioni, non deve quindi stupire se il linguaggio dei pontefici si sia fatto, di anno in anno, più “conciliante”: per aiutare una persona ad entrare nel proprio mondo, perché un’amicizia nasca, è bene che ognuno esterni un minimo di apprezzamento per l’altro, senza per questo omettere con franchezza, quando necessario, anche “ciò che divide”. Purché ogni sforzo sia compiuto ut unum sint. [Luca Marcolivio]
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D’accordo, noi cattolici un passo verso i protestanti l’abbiamo fatto, ma non vedo il contrario se mi guardo attorno (per esempio attraverso le mie conoscenze dirette, alcune trasmissioni e dibattiti TV con protestanti,articolo di giornale di questi giorni del pastore valdese di turno per cui vale l’equazione protestantesimo uguale difesa del libero pensiero, le recenti affermazioni ben salde sulle proprie convinzioni di Margot Kässmann ambasciatrice dei luterani nel mondo, i festeggiamenti per la “riforma” dicono e fanno loro, ecc..) Mi sembra un articolo di parte, ingenuo e slegato con la realtà , ma correggetemi se sbaglio. Su Lutero come esempio di persona da seguire poi, é mai possibile non si possa mai alzare il pietoso velo di quasi vergognosa omertà?